Carige, interviene il Governo del cambiamento.

    Pochi minuti di riunione straordinaria e il consiglio dei ministri ha approvato ieri sera un decreto legge a salvataggio di Carige, dal titolo “Disposizioni urgenti per la tutela del settore del risparmio creditizio”.

    Pur non essendo ancora chiari i dettagli, è certa la garanzia statale da parte del Ministero dell’Economia su passività di nuova emissione e su finanziamenti erogati discrezionalmente dalla Banca d’Italia. Inoltre, è prevista la possibilità di una ricapitalizzazione pubblica a scopo precauzionale.

    Nulla di particolarmente nuovo, pertanto, sia nelle soluzioni ipotizzate, che ricordano soprattutto il caso Monte dei Pachi di Siena, sia negli autori dei provvedimenti, la cui mente fu ieri ed è oggi Alessandro Rivera, sempre ai vertici del Tesoro per il sistema bancario.

    Immediate le reazioni politiche sia nell’opposizione che nella stessa maggioranza, in un botta e risposta  rovente sui social.

    Sono bastati dieci minuti di una riunione notturna del consiglio dei ministri per smentire cinque anni di insulti e menzogne contro di noi. Matteo Salvini e Luigi Di Maio devono solo vergognarsi” ha twittato Matteo Renzi.

    Mentre Maria Elena Boschi scrive, sempre via twitter “ieri il Governo del cambiamento ha salvato una banca. Giusto così, per i risparmiatori. Ma se fossero uomini seri Di Maio e Salvini dovrebbero riconoscere che hanno fatto la stessa cosa che abbiamo fatto noi. Non lo faranno. Perché la parola verità non appartiene al loro vocabolario”.

    E poi ancora Luigi Marattin, capogruppo PD in commissione bilancio della Camera pone un ulteriore quesito, sollevando un’ipotesi di conflitto di interessi per il premier Conte: “ …dati i rapporti del premier Conte con Carige (tramite ilo suo socio Alpa, consigliuere Carige) nel Cdm di ieri sera si è astenuto sul decreto salvabanche? E’ uscito al momento del voto? Gradita risposta”.

    Pronta la replica del Vice premier Luigi Di Maio che, tramite Adnkronos, comunica ai suoi: “Prima di tutto per ora non abbiamo messo un euro nelle banche. Abbiamo solo dato una garanzia in caso di eventuali emissioni di titoli per evitare che succeda quello che è già accaduto con le venete e con Etruria dove azionisti e obbligazionisti hanno perso tutto”.

    Salvini, inoltre, afferma “Mentre Renzi e Boschi i risparmiatori li hanno ignorati e dimenticati, noi siamo intervenuti subito a loro difesa senza fare favori alle banche, agli stranieri, o agli amici degli amici. Bene l’azione a tutela dei risparmiatori liguri e italiani e bene il miliardo e mezzo stanziato in manovra per gli altri cittadini truffati”.

    Nel frattempo, il portavoce del presidente della Commissione Europea Jean Claude Juncker, dichiara che la UE “prende nota dell’adozione del decreto ed è in contatto con le autorità italiane, pronta a discutere con loro della disponibilità degli strumenti europei possibili”.

    In tutto questo, emerge un dubbio fondato su quanto siano davvero deteriorati i 3 miliardi di crediti che Carige starebbe per vendere al braccio operativo del Ministero delle Finanze: SGA (Società Gestione ed Attività),  Intermediario Finanziario ex art. 106 ai cui vertici compare il nome di Alessandro Rivera, l’autore, come detto, dei principali decreti salva banche.

    Infatti, come dichiarato da un ex membro del CdA decaduto, l’ex presidente Bernabeschi, “un fatto è certo, aldilà dell’etica delle sue scelte e della facilità con cui concedeva i crediti, li ancorava sempre a beni immobiliari”.

    Ci sarebbe il mattone, dunque, all’origine del contendere sulla gestione degli Npl di Carige. Anzi tanti bei mattoncini, visti i sostanziosi patrimoni immobiliari dati a garanzia dai nomi illustri di gruppi ancora in piena attività.

    Proprio questo dubbio, peraltro, pare sia all’origine del mancato aumento di capitale da parte di Malacalza, che ha dichiarato di voler avere maggiori informazioni.

    Insomma, la bufera Carige prosegue, tra un balletto di insulti tra politici, una corsa a gestire golosi crediti “deteriorati”, decreti legge e commissariamenti.

    E, come sempre, i piccoli azionisti stanno a guardare e confidano nell’operato di professionisti seri, che già si sono attivati in difesa dei loro “piccoli” quanto importanti patrimoni.

     

     


    BPB: ennesima speranza tradita.

    Il nuovo anno inizia con pessime notizie per i piccoli azionisti della Popolare di Bari. che avevano sperato nella rapida trasformazione della banca  in società per azioni.

    Infatti, alla decisione del Consiglio di Stato di rivolgersi alla Corte Europea (v. anche nostro precedente articolo del 4/11/2018) si è aggiunto l’emendamento votato in Finanziaria, che consente alle Banche Popolari di Bari e di Sondrio di posticipare la trasformazione in SpA.

    Dal Governo spiegano che è stata una “scelta tecnica dovuta” stante il parere di Bruxelles in sospeso; comunque la norma è stata votata da tutti, eccetto il Partito Democratico.

    Questo ulteriore stallo si aggiunge alle preoccupazioni dei piccoli azionisti che attualmente, ricordiamo,  si ritrovano un pacchetto azionario deprezzato del 75% e, nella sostanza, invendibile.

    Negli ultimi giorni del 2018, peraltro, la Popolare di Bari aveva dovuto affrontare anche le improvvise dimissioni dell’amministratore delegato Giorgio Papa, a sostituire il quale il presidente nonché dominus della banca Marco Jacobini aveva richiamato Vincenzo De Bustis, già direttore generale dell’istituto pugliese dal 2011 al 2015.  Un nome controverso, anche per la vicenda Tercas, una acquisizione ancora sotto inchiesta della Procura, che indaga gli Jacobini e alcuni vertici della banca (proprio negli anni in cui era direttore generale De Bustis) per truffa, ostacolo all’attività della banca d’Italia e false dichiarazioni nel prospetto informativo depositato alla Consob.

    Un fatto strano ci colpisce, comune denominatore di questa ed altre vicende bancarie degli ultimi giorni, ad esempio Carige: il balletto di nomi dei soliti noti ai vertici degli istituti in grave difficoltà.

    Così, nonostante inchieste, sanzioni, presunti favori ad alcuni azionisti a danno di altri, rinvii politici e non e “nuove” nomine, il processo di ristrutturazione di Banca Popolare di Bari prosegue e il timore, quasi certezza, di un nuovo imminente aumento di capitale, con conseguente ennesima svalutazione delle azioni, incombe sui piccoli azionisti.

    L’ennesima speranza tradita, l’ennesima attesa, i rischi, la rabbia… i piccoli risparmiatori-azionisti, sostanzialmente impotenti, attendono ancora.

     


    Come facilmente prevedibile, dopo la mancata approvazione dell’aumento di capitale nell’assemblea del 22 dicembre e la successiva decadenza del board dimissionario, CARIGE  è di nuovo al centro di un vero e proprio terremoto mediatico e finanziario.

    L’inizio dell’anno ha visto in rapida successione la sospensione dei titoli per eccesso di ribasso, e la decisione di commissariamento dell’Istituto ligure.

    La BCE, intervenendo per la prima volta in Italia, ha deciso per l’amministrazione straordinaria della banca genovese e ha contestualmente nominato tre commissari e un comitato di sorveglianza di tre membri.

    In base all’art. 72 del Testo Unico bancario, quindi, i Commissari eserciteranno tutti i poteri  di amministrazione, come da statuto, e potranno adottare ogni decisione operativa ritenuta necessaria, riferendo poi alla Vigilanza.

    Ciò che sorprende non poco è che i “nuovi” nominati siano gli stessi del board decaduto. Fabio Innocenzi (ex amministratore delegato), Pietro Modiano (ex presidente) e Raffaele Lerner, infatti, sono i tre commissari nominati dalla Banca Centrale Europea.  Il comitato di Vigilanza è composto da Gian Luca Brancadoro, Andrea Guaccero e Alessandro Zanotti.

    Un segnale di continuità e contemporaneamente di maggiore celerità nelle decisioni che dovranno essere prese nei prossimi giorni dalla governance? Anche se non possiamo fare a meno di manifestare la nostra perplessità sulla scelta di riconfermare lo stesso team che ha diretto finora la banca.

    Le ipotesi in campo sono principalmente le seguenti.

    Innanzitutto il dialogo col principale azionista, Malacalza, che ha dichiarato di non essere contrario in assoluto alla ricapitalizzazione della banca, ma di “volerci vedere più chiaro”.

    Non si esclude, però, una certa resistenza di Malacalza alla possibile conversione in azioni del prestito del Fidt (fondo interbancario, il pool di 90 banche che hanno prestato 320 milioni a Carige), che stravolgerebbe inevitabilmente, evitando il passaggio in Assemblea, il pacchetto azionario del principale azionista, appunto, che scenderebbe dall’attuale 27,5% al 5%.

    Il peso degli Npl , infine, dovrà essere fatto scendere dall’attuale 22% al 10%, per mettere in sicurezza la banca e pensare concretamente ad una aggregazione con altro istituto, in grado di risolvere i problemi.

    Proprio oggi, mentre il titolo è ancora fermo a Piazza Affari in attesa di chiarezza, La Repubblica scrive che il Governo starebbe valutando l’ipotesi di fusione di Carige con MPS, altro grande “infermo” del sistema bancario italiano (curioso che entrambi siano gli istituti bancari più antichi), di cui il ministero del tesoro possiede il 68%.

    In tutta questa vicenda, in attesa che si prendano importanti decisioni per il futuro di Carige, il nostro pensiero va ai piccoli azionisti, che della bufera in corso da molti mesi rischiano di restare le uniche vere vittime, perché impotenti e schiacciati da poteri troppo più forti.

     


    Carige: no all'aumento di capitale.

    Malacalza, Investimenti, principale azionista di Carige (con il 27,50% del capitale), nell’assemblea straordinaria del 22 dicembre si è astenuto  dall’aumento di capitale previsto fino a 400 milioni di euro.

    Bloccato, quindi, il rafforzamento patrimoniale dell’istituto genovese, con conseguente incertezza sui mercati. Il titolo, infatti, dopo un avvio che non aveva fatto prezzo,  ha segnato un calo del 12,50%, arrivando a cedere quasi il 19%. Da inizio anno, il titolo ha perso oltre l’80%.

    L’aumento di capitale, del resto, è il punto fondamentale della manovra di rafforzamento autorizzata dalla BCE, per consentire alla banca di rientrare nei requisiti patrimoniali e riassorbire il bond subordinato Tier 2 da 320 milioni sottoscritto dallo schema volontario del Fitd.

    Malacalza, pur rinnovando la fiducia nel CdA nominato tre mesi fa, e dichiarandosi non contrario “in principio” ad una nuova ricapitalizzazione, vuole però “tutti gli elementi necessari” per effettuare una adeguata valutazione dell’operazione. Soprattutto, attende di valutare il nuovo piano industriale  (che verrà completato nel corso del primo trimestre 2019),.

    Sono attesi a breve a Francoforte l’a.d. Fabio Innocenzi e lo stesso socio di maggioranza Malacalza. Nel frattempo, si sono dimessi due membri del c.d.a.: Raffaele Mincione e Lucrezia Reichlin.

    La preoccupazione dei piccoli azionisti ovviamente aumenta, tanto da inviare una lettera al Presidente della Repubblica e al Presidente del Consiglio per chiedere di intervenire nella annosa e intricata vicenda dell’istituto ligure.

    Un nuovo colpo, quindi, alla credibilità di Carige,. Una delle soluzioni auspicate un po’ da tutti è che si acceleri il processo di fusione con un altro istituto bancario.

    Ancora una volta, il destino della storica banca ligure  e dei suoi piccoli investitori resta appeso ad un filo di speranza. vedremo se il nuovo anno porterà finalmente una soluzione.

     


    Paradisi fiscali, riflessione controcorrente.

    Un recente rapporto Oxfam (Oxford Committee for Famine Relief, l’organizzazione internazionale che combatte la povertà nel mondo) rivela che i Paesi Bassi sono il paradiso fiscale societario in vetta alla classifica europea, terzo al mondo dopo Bermuda e Isole Cayman.

    Ufficialmente l’imposta sul reddito è del 25%, ma sono previsti alti incentivi fiscali e la non tassazione delle royalties per multinazionali e corporation che scelgono di avere un indirizzo in Olanda.

    E’ questo il motivo che ha portato solo ad Amsterdam, a Prins Bernhardplein 200, in un moderno palazzo di vetro,  ben 2.812 società da tutto il mondo.  In realtà si tratta di  società “bucalettere”, cioè che hanno solo un indirizzo, niente struttura aziendale organizzata  né produzione.

    Lo stesso rapporto Oxfam osserva che attraverso questi indirizzi societari dal 2009 al 2013 le entrate degli investimenti stranieri in Olanda sono passate dall’80% all’83% , mentre le uscite dal 76% al 78%.

    Inoltre, un rapporto del Parlamento europeo sulle shell companies ( “società scudo”) ha confermato nello scorso ottobre che gli investimenti esteri in Olanda sono pari a più di cinque volte il Pil.

    Infine, grazie al ministero delle Finanze olandese, a novembre abbiamo appreso che attraverso le circa 15mila società finanziarie speciali, bucalettere appunto, nel 2016 sono passati circa 4.500 miliardi di euro all’anno, di cui tassati soltanto 199 miliardi, grazie alle grandi agevolazioni tributarie qui offerte.

    Se pensiamo che  il Pil italiano e quello francese arrivano a mala pena a 4.300 miliardi, ci rendiamo conto del valore di queste cifre.

    L’ipocrisia olandese, che da una parte predica austerità e disciplina di bilancio, critica i sistemi fiscali e le politiche economiche dei paesi mediterranei, e dall’altra pratica l’elusione fiscale messa a sistema, è oggetto di dure critiche ormai da qualche anno.

    Nella stessa Olanda, lo scorso 2 ottobre, insegnanti, dipendenti della sanità e dipendenti pubblici in genere sono scesi in piazza per manifestare il loro dissenso contro il taglio di decine di miliardi al welfare negli ultimi anni, a beneficio delle multinazionali.

    In Europa, sempre più spesso, si parla di equità fiscale, come se questa potesse generare automaticamente equità sociale.

    E se provassimo, per una volta, a cambiare paradigma, a valutare il tutto in un’ottica diversa?

    Riflettiamo, allora,  sulla storia di questa Unione Europea . Alle origini fu la C.E.C.A,. poi il M.E.C., che divenne C.E.E..

    Comun denominatore di tutte queste sigle  era il LIBERO SCAMBIO, sebbene relativamente libero, e, quindi, la dissoluzione progressiva delle barriere commerciali e doganali preesistenti.

    Per diversi anni questo sistema funzionò piuttosto bene, confermando ciò che acutamente affermava, già nell’800,  il grande economista Bastiat: “dove passano le merci non passano gli eserciti”.

     


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