Quali competenze per il lavoratore del futuro?

    Il fenomeno che prende il nome di Industry 4.0 è destinato a cambiare notevolmente non solo il sistema economico e produttivo e i modelli di business ma anche, e soprattutto, il lavoro.

    In merito a quest’ultimo aspetto, secondo la letteratura e gli addetti ai lavori, saranno sempre più importanti le soft skills: il lavoratore 4.0 verrà liberato dalle attività routinarie, ripetitive e monotone, dovrà governare macchinari e tecnologie digitali e gli sarà richiesta capacità di gestione della complessità, astrazione e problem solving.

    Unitamente a ciò dovrà saper agire opportunamente e di propria iniziativa, partecipare attivamente e in maniera vigile, e quindi, in ultima istanza, essere autonomo.

    Dovrà inoltre sapere lavorare in gruppo: Industry 4.0 è un fenomeno ibrido e quindi il lavoratore dovrà relazionarsi con soggetti con background differenti ed appartenenti ad un network, che travalica l’impresa, reso sempre più facile da costituire ed estendere grazie proprio le tecnologie informatiche; saranno quindi fondamentali la capacità di comunicare e di organizzare il lavoro. Dato che Industry 4.0 è un fenomeno, come detto, ibrido al lavoratore stesso sarà richiesta multidisciplinarietà e capacità di flessibilità, adattamento, e polivalenza. È infatti importante considerare che una delle chiavi della nuova organizzazione del lavoro è la disintegrazione delle figure specifiche: si creano squadre di lavoratori che possiedono competenze di diverso tipo, che possono essere utilizzate a seconda delle attività e delle particolari problematiche che sorgono. In questo contesto quindi, alle competenze specifiche (le cosiddette Hard Skills) si affiancano competenze “Soft” proprie di un ambiente di lavoro caratterizzato da complessità e flessibilità. Ossia, ad esempio, capacità di comunicazione e di organizzazione del proprio lavoro, adattamento a mansioni diverse, gestione di situazione impreviste e non prevedibili. Infine, dato che l’evoluzione tecnologica sarà sempre più veloce e quindi anche il lavoro cambierà sempre più velocemente, sarà fondamentale la capacità di apprendere in maniera continuativa.

    Con un focus sul manifatturiero, settore per antonomasia collegato al novecento industriale e al fordismo, il classico colletto blu diventerà un blue collar aumentato, che si troverà a gestire macchinari dotati di intelligenza – che vanno a svolgere tutte quelle mansioni parcellizzate pima lasciate al singolo lavoratore –, e rispetto a questi non avrà, usando una fortunata espressione di Lukács, una funzione contemplativa, come nella catena di montaggio fordista, bensì dovrà monitorare più fasi, più macchinari, frazioni più ampie del processo produttivo: vi è quindi nel blue collar 4.0 una ricomposizione di mansioni, che portano con se più autonomia e responsabilità, con associate maggiori spinte motivazionali. La stessa possibilità di una personalizzazione di massa che rende potenzialmente unico ogni singolo ciclo produttivo, e che quindi aumenta di gran lunga, insieme alla continua innovazione tecnologica, la variabilità delle sequenze produttive, spinge ancora di più il blue collar verso la conoscenza olistica dell’intero ciclo e a una sua maggiore versatilità.

    Una riflessione importante è che il know-how del lavoratore che prima svolgeva un’attività ora automatizzata è fondamentale per predisporre ottimamente la sostituzione uomo-macchina, così come fondamentale è l’apporto che, da blue collar avanzato, il lavoratore può dare al processo produttivo svolto da machine: le macchine possono sì usare i sensori posti su di loro e i big data per ottimizzare il processo, ma non potranno mai sostituire il genio e la creatività umana e quindi “re-inventarsi” da sole, “auto-generarsi”, produrre da sé salti qualitativi e re-disporre da sole l’intero processo produttivo. Resta quindi necessario un legame di controllo e subordinazione della macchina all’uomo anche per poter consentire un continuo processo di innovazione: se da un lato gli automi consentono di oltrepassare alcuni dei limiti di carattere psico-fisico dei lavoratori (quali la forza fisica e l’impossibilità di grandi sforzi in modo continuato, la perdita di energie e la stanchezza, la necessità di pause, la malattia, la perdita momentanea della concentrazione e la distrazione, l’errore volontario, il sabotaggio, ecc.), dall’altra ovviamente non possiedono una completa capacità di azione e restano in ultima istanza vincolati al settaggio che viene loro programmato dall’uomo. Il fatto quindi che il ruolo nella smart factory del lavoratore, e in particolare del colletto blu 4.0, sia quello di impostare i macchinari, progettare i prodotti e risolvere i problemi che questi possono avere durante il ciclo produttivo, è la dimostrazione della superiorità dell’uomo sulla macchina, non il contrario.

    Quindi, il ruolo del lavoratore e, più in generale, delle persone, resta centrale in quanto, evidentemente, le nuove tecnologie possono dare i risultati di efficienza, efficacia e produttività sperati solo se la loro adozione viene accompagnata da una parallela introduzione di lavoratori con le competenze adatte a gestire queste nuove tecnologie e da una trasformazione dell’organizzazione dell’impresa verso disegni organizzativi capaci di sfruttare al meglio le tecnologie ICT.

     


    Mistero su Venice Forex

    Il forex, il mercato delle valute, nasconde insidie ed equivoci. Il caso della Venice Investment Group, che ha generato un buco di 50 milioni e lasciato a bocca asciutta mille piccoli investitori.

    Investire una somma a fronte di un ritorno immediato è un buon ritorno con rischi zero. Fino a quando il sistema si inceppa e viene qualche dubbio sul modus operandi del trader finanziario. 

    Oggi è eclatante il caso della Venice Investment Group, che ha ereditato l’operatività della Venice Forex. Le ultime notizie ufficiali gli investitori le hanno avute il 29 marzo dalla pagina Facebook ufficiale del gruppo veneto, che oggi ha sede fiscale a Nova Gorica, in terra slovena. Poi, è scattata l’indagine della Procura di Venezia.

    Ma facciamo un passo indietro.

    La Venice Investment Group è una società mandataria per i propri clienti, opera nel mercato di scambio di valuta estera ed ha sede a Londra. Certo, la Venice Investment Group era anche finita sotto il mirino investigativo da parte della Consob, che aveva inviato al gruppo una diffida in attesa di conoscere meglio il suo modo di operare. Ma perché? Cosa aveva combinato la Venice? Il gruppo offriva rendimenti del 10% settimanali agli investimenti effettuati dai risparmiatori. E’ accaduto però che dopo un periodo felice sono arrivati i primi ritardi e dopo ancora a non arrivare affatto i ricavi, fino a generare le vibrate proteste di chi aveva investito qualche risparmio.

    A quel punto sono partite le denunce e gli investigatori hanno accertato che le persone coinvolte potrebbero essere un migliaio mentre il buco finanziario si aggirerebbe intorno ai 50 milioni. Ad oggi, l’ad del gruppo, Fabio Gaiatto, è finito sotto inchiesta con l’accusa di truffa, appropriazione indebita e violazione della normativa bancaria. Il piemme titolare dell’indagine ha esortato il trader a restituire le somme mancanti, mentre dalla sede di Nova Gorica gli impiegati ostentano sicurezza affermando che le somme con gli interessi arriveranno a stretto giro. Ma quello che pare lampante in questa prima fase dell’inchiesta è che i soldi sono spariti e che i risparmiatori per tutelare i loro investimenti si sono riuniti nel gruppo Facebook Class action Venice Group.

    La giustizia farà il proprio corso, ma i soldi investiti torneranno ai legittimi proprietari?

     


    Il mercato del Forex e le truffe in agguato.

    Ricordate Pinocchio che si reca al campo dei Miracoli con il Gatto e la Volpe a seminare  le sue monete d’oro?

    Sarebbe il caso di tenere bene a mente il monito di Collodi quando veniamo contattati, sempre più spesso, via mail o per telefono, da presunti maghi che promettono di farci guadagnare molto investendo poco.

    Il guadagno facile, soprattutto in tempi di crisi, è un comprensibile desiderio e un miraggio per molti. Aumentano le scommesse  di ogni tipo, quelle “legali”, che vedono lo Stato biscazziere, quelle illegali sotto il controllo delle mafie e, infine, quelle “fuori controllo”, attraverso il web.

    Contestualmente al  gioco d’azzardo, negli ultimi anni  si è assistito a una forte crescita di offerta di investimenti “facili” attraverso le opzioni binarie. Abbiamo già parlato di FOREX, OPZIONI BINARIE, ecc., che movimentano trilioni di euro al giorno, proprio per questo, qualche riflessione in più non guasta.

    Nella folta selva di broker finanziari, spuntati e proliferati come funghi da quando questo mercato è divenuto alla portata di tutti, la prima distinzione da fare è tra abusivi ed autorizzati. Se la regolamentazione da parte del CySEO e altri enti come l’FSA, ASIC, CONSOB, ecc. ha aiutato ad introdurre uno standard minimo a cui i broker finanziari devono aderire, assistiamo ad un tale aumento di servizi, che possono facilmente trarre in inganno i trader. E’ quindi bene chiarire che l’autorizzazione in sé non salva l’investitore dagli elevati rischi di questo tipo di investimenti ma sicuramente diminuisce il rischio delle potenziali truffe di società che saltano, dopo aver incamerato milioni di euro degli investitori.

    Le statistiche rilevano che il 95% degli improvvisati trader perde tutto il proprio capitale in tempi più o meno brevi, ciò significa che, a prescindere che il broker sia autorizzato o no, i rischi sono molto elevati e che la maggior parte degli utenti non è cosciente di ciò in cui potrebbe incorrere facendo trading su opzioni binarie.

    Premesso e ben compreso il rischio insito negli investimenti suddetti, i motivi principali per cui il mercato FOREX e OPZIONI BINARIE è suscettibile di truffe e raggiri sono i seguenti:

    • non esiste uno scambio centralizzato e regolato;
    • le valute e le opzioni vengono scambiate tramite network informatic; da un trader all’altro, compravendita denominata OTC (Over the Counter).
    • Il mercato Forex è molto complesso e ad alta volatilità, perciò rappresenta un potenziale strumento per arricchirsi in fretta, come propagandato, ma anche per perdere facilmente e molto velocemente quanto investito, soprattutto per i traders  meno esperti.

    Investire tramite un broker autorizzato, quindi, non costituisce comunque una garanzia assoluta.

    Diverso il discorso per le società non autorizzate, costituite ad hoc per raggirare e truffare un gran numero di investitori  (spesso anche con piccole somme) nel minor tempo possibile e poi sparire con i capitali raccolti che, anche in caso di guadagno, non verranno mai restituiti.

    Si sta così sviluppando una nuova area di contenzioso legale: il contenzioso Forex. Alcuni Studi legali si stanno, infatti, specializzando in questo settore per essere in grado di offrire consulenza a clienti che intendono recuperare gli investimenti perduti tramite raggiri e truffe.

     


    Modifiche unilaterali dei contratti bancari e finanziari.

    Gli aumenti dei costi dei conti correnti non sempre sono leciti, nonostante la legge preveda la possibilità di modifiche unilaterali da parte degli Istituti Bancari.

    La facoltà riservata alle Banche di cambiare le condizioni economiche dei conti correnti prevede, infatti, che, nel rispetto di quanto stabilito dalle norme sulla Trasparenza e dall’art.118 del TUB, venga specificato un giustificato motivo e che questo venga indicato chiaramente nella comunicazione di variazione, da inviarsi ai clienti con adeguato preavviso.

    In particolare, le motivazioni date da diversi Istituti Bancari per gli aumenti avvenuti nel corso del 2016 non sempre sono valide o meglio configurabili nel giustificato motivo. Molti, come Banco Popolare (ora BPM), Ubi Banca, Deutsche Bank e Intesa San Paolo, hanno motivato gli aumenti per i maggior costi derivanti dall’adeguamento alle norme europee in materia di Fondi di Garanzia e dai contributi versati al Fondo di risoluzione per la normativa “Bail-in”. Queste non sono giustificazioni da ritenersi sufficienti a generare aumenti.

    Nel caso di sospette anomalie, è possibile fare un reclamo e, in mancanza di risposta  entro 30 giorni o se la risposta non è soddisfacente, si può fare ricorso all’Arbitro bancario e finanziario.

    Come precisa il sito di Banca d’Italia, infatti, verificare la sussistenza del “giustificato motivo” è competenza dell’Autorità Giudiziaria. La Banca d'Italia indica i principi e i criteri a cui gli intermediari devono attenersi e verifica che vengano rispettati.

    Riportiamo a seguito un approfondimento in merito tratto dal sito di Banca d’Italia.

    Con una nota del 28 marzo 2017, Banca d'Italia ha fornito agli intermediari ulteriori precisazioni, oltre quelle già date nel 2014, in materia di jus variandi, ovvero la possibilità di modificare unilateralmente le condizioni contrattuali applicate alla clientela.

    Nella nota inviata il 28 marzo scorso, la Banca d'Italia ha evidenziato le situazioni in cui le modifiche unilaterali risultano in contrasto con condotte trasparenti e corrette e impediscono al cliente di assumere scelte consapevoli. In particolare, ciò può accadere quando: non esiste una correlazione tra i costi alla base della modifica e le tariffe o le tipologie di contratti modificati; i costi alla base della modifica sono già stati sostenuti e hanno esaurito interamente i loro effetti; le variazioni aumentano solo temporaneamente le tariffe (c.d. modifiche una tantum);  le modifiche sono giustificate da costi già noti al momento della stipula dei contratti; le modifiche non sono commisurate ad un incremento di costi; le variazioni fanno riferimento a più di una motivazione, senza illustrare chiaramente il legame esistente tra ciascuna di esse e gli interventi proposti; le modifiche escludono alcune tipologie di clienti o di contratti, maggiorando la quota da recuperare sui clienti toccati dall’intervento.

    Nella comunicazione di marzo 2017, la Banca d'Italia ha chiesto agli intermediari di valutare la coerenza delle modifiche unilaterali, realizzate dal gennaio 2016, con il quadro di riferimento in materia di modifiche unilaterali e di adottare, laddove necessario, iniziative correttive compresa l’eventuale restituzione delle somme alla clientela. Nei suoi controlli terrà conto anche delle indicazioni date con la nota descritta.

    A beneficio dei clienti, che in caso di controversie possono rivolgersi all’ABF (dopo aver sottoposto un reclamo alla banca) o all’autorità giudiziaria, la Banca d'Italia ricorda che:

    • gli intermediari devono proporre la modifica unilaterale in modo chiaro e con preavviso di almeno due mesi
    • il cliente, in questi due mesi, può decidere se continuare il rapporto o recedere dal contratto senza penalità.

    I clienti devono poter essere in grado di valutare la proposta di modifica, per poter scegliere in modo consapevole se proseguire o meno il rapporto con l’intermediario.

    In conclusione: modifiche unilaterali va bene, ma non sempre il cliente è costretto a subirle.

     


    Smantellamento delle centrali nucleari? I costi in bolletta.

    L’opera di smantellamento delle ex centrali nucleari italiane continua al rallentatore. Costi che troveremo sempre nelle bollette di fornitura elettrica.

    In principio fu la centrale nucleare di Borgo Sabotino, oggi invece vige ladecommissioning, cioè lo smantellamento, di quei grandi ‘mostri’ sparsi un po’ in tutta Italia, che si rivelano un affare per Sogin, l’azienda dello Stato italiano (nasce in pancia all’Enel, ma poi nel 2000 le azioni vengono trasferite al Ministero dell’economia) responsabile dello smantellamento e della gestione e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi.

    Eh sì, dalla genesi della prima centrale nucleare (sorta a Borgo Sabotino, periferia marina a nord di Latina, nel maggio 1963) ad oggi, dove nel grottesco quadro italiano si assiste in modo rallentato al fenomeno dello smantellamento di quelle grandi aree industriali dopo il referendum del 1987 che decise il ‘no al nucleare’, sancito dopo il grave incidente ucraino nella centrale di Chernobyl. Grottesco, perché l’Italia ritenendo pericolosa la produzione di energia nucleare continua non solo però ad acquistarla per il fabbisogno interno ma anche perché non è immune da eventuali catastrofi in seguito a ipotetici incidenti, dato che i reattori nucleari attivi sparsi in Europa sono ben 148.

    Ma veniamo al fenomeno del decommissioning, cioè lo smantellamento di quelle aree ad opera di Sogin: se sono quattro le centrali in cui si lavora per la messa in sicurezza delle scorie nucleari presenti, ancora non si comprende bene quando finirà l’opera. E questo perché i lavori presso le centrali di Latina, Sessa Aurunca (Caserta), Trino (Vicenza) e Caorso (Piacenza), continuano ad accumulare inspiegabili ritardi, indugi che gli italiani pagano ogni bimestre sulle bollette della fornitura elettrica. Quale l’anno di grazia in cui questa chiusura dei lavori dovrebbe avvenire? Si era ipotizzato il 2036, ma i ritardi qui si accumulano e di conseguenza slitterà anche la deadline, verosimilmente indicata già nel 2051.

    Ancora: l’Italia, o meglio la Sogin, si scontra anche con la dura realtà del mercato e con l’emotività dell’opinione pubblica. A Caorso l’opera di smantellamento s’è arenata da un paio d’anni (!) perché il trattamento delle resine e dei fanghi radioattivi, appalto vinto da un’azienda slovacca, la Javis Jandrova, è fermo in seguito al mancato pass da parte delle stesse autorità slovacche. E ancora: all’interno della Sogin non si riesce a individuare da diversi anni l’area che ospiterà il Deposito nazionale dei rifiuti (immaginiamo già le barricate di ambientalisti, politici e affini).

    Insomma, siamo proiettati nel futuro. Anche coi costi relativi che troveremo puntualmente spalmati sulle bollette di fornitura elettrica.

     


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