La banda del buco fiscale.

    La banda del buco fiscale.

    Banche e acrobati della finanza uniti per truffare vari Paesi europei.

    Probabilmente potrà essere definita “la rapina del secolo” il decennale saccheggio perpetrato da un’organizzazione di banche, operatori finanziari e consulenti legali, costruito ai danni di stati europei  sostanzialmente impotenti, “costretti” a rimborsi fiscali non giustificati.

    Il professore di Diritto Tributario dell’Univesità di Mannheim, Christoph Spengel, l’ha definita “la più grande truffa fiscale della storia europea”. In effetti, il danno erariale prodotto da queste operazioni border line supera i 55 miliardi di euro.

    Grazie ad una complessa  ragnatela di operazioni finanziarie rilevanti, vendite di titoli da investitori stranieri, pagamenti di dividendi regolarmente tassati, richiesta di rimborsi fiscali e nuova vendita dello stesso pacchetto, questa imponente organizzazione internazionale è riuscita  per anni non solo a eludere il pagamento delle tasse, ma ad appropriarsi delle tasse versate dai contribuenti nei vari stati europei.

    Ma cerchiamo di capire meglio. Innanzitutto, le operazioni seguono due modelli principali, denominati cum-cum e cum-ex. Le operazioni cum-cum permettono di ottenere un rimborso fiscale, quelle cum-ex  addirittura un doppio rimborso. Poiché il meccanismo è tutt’altro che semplice da spiegare, ci aiuteremo con questa immagine, pubblicata da DIE ZEIT.

    In sostanza, alla base di questo imponente sistema, c’è il principio per cui gli azionisti residenti in un certo Paese, al contrario di quelli stranieri,  hanno diritto ad un rimborso fiscale perché oltre alle tasse sugli utili hanno già pagato quelle sui dividendi. Da qui il business per le banche che, comprando azioni da clienti stranieri subito prima del pagamento dei dividendi e rivendendogliele subito dopo, si spartivano il rimborso indebito con il cliente stesso. E’ evidente, pertanto, che siamo al limite della legalità, in quanto i rimborsi fiscali sono apparentemente dovuti, ma l’abuso è evidente, perché l’unico obiettivo perseguito è il vantaggio fiscale ai danni degli stati.

    Peraltro, come sottolinea il Professor Spengel, “Per capire come agire, le banche, gli operatori finanziari e i giuristi hanno studiato i sistemi fiscali dei diversi Paesi e poi hanno sviluppato tecniche su misura”. Lo stesso Spengel spiega anche che si è trattato di operazioni puramente tributarie e ha calcolato che, tra il 2001 e il 2016, il fisco tedesco ha subito danni per quasi 32 miliardi di euro, almeno 17 il danno in Francia, 4,5 in Italia, 1,7 in Danimarca, 201 milioni in Belgio. A questi importi astronomici vanno aggiunti i danni subiti da altri Paesi europei, dove mancano ancora cifre e dati di mercato ufficiali.

    Per anni il sistema funziona finché non parte lo scandalo in Germania, grazie ad Anna Schablonski,  una caparbia dipendente dell’agenzia delle entrate tedesca (la Bundeszentralamt fur Steuern), che nota qualcosa di strano in una richiesta di rimborso fiscale.

    Era il 22 giugno 2011, un fondo pensione americano (del New Jersey) aveva acquistato e subito dopo rivenduto un pacchetto azionario, quotato in Germania ben 6,4 miliardi di euro.

     


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