Il caso di Banca Popolare di Bari

    Il caso di Banca Popolare di Bari

    La nostra rivista si è spesso occupata, nei mesi scorsi, delle vicende della banca pugliese, finita più volte sotto i riflettori per diversi motivi. Il fatto più grave, soprattutto per i piccoli azionisti dell’istituto, è che il valore delle azioni non  solo è crollato di oltre il 70% in tre anni, ma i titoli sono di fatto invendibili. Questo anche grazie al fatto che la Popolare di Bari non è ancora quotata in borsa e, proprio su questo, pende un procedimento dinanzi alla Corte Europea.

    Abbiamo, quindi, deciso di contattare qualche cliente/azionista per approfondire la questione. La persona da noi intervistata oggi ha chiesto di mantenere l’anonimato. Pertanto, riportiamo a seguito domande e risposte, omettendo i dati della persona che si è resa disponibile a condividere la sua esperienza con i nostri lettori.

     

    Quando è iniziato il suo rapporto con la Banca Popolare di Bari?

    Ho una piccola attività commerciale, creata da mio padre quando io ero ancora un bambino. Da qualche anno avevo aperto un conto corrente presso l’agenzia di zona della Popolare di Bari, peraltro per me molto comoda perché assai vicino al mio negozio.

    Com’erano i suoi rapporti con il personale dell’Agenzia?

    Ottimi. Mi recavo personalmente allo sportello almeno tre volte alla settimana. Noi non abbiamo una segretaria adibita a queste mansioni. Abbiamo sempre portato avanti tutto da soli, mia moglie ed io. Dopo anni di collaborazione, con i dipendenti della banca c’è un rapporto molto cordiale, quasi confidenziale.

    Come e quando decide di fare il “grande passo” e investire sulla “sua” banca?

    L’anno era il 2013.  Avevo bisogno di un nuovo macchinario per  migliorare e potenziare la nostra attività così decisi di chiedere un fido. Ne parlai in banca, presentai bilanci e quant’altro richiestomi e compilai tutti i moduli necessari, inclusa una fidejussione personale, a firmare la quale non avevo problemi, essendo io stesso a controllare la mia attività e credendo fortemente nel mio nuovo progetto di espansione.

    Quindi, lei ha chiesto un prestito per la sua attività?

    Si, avevo un “gruzzoletto” da parte, ma volevo che la mia piccola attività camminasse con le sue “gambe”, ne aveva tutte le potenzialità. In banca ero conosciuto da anni e contavo sul rapporto fiduciario che si era costituito, grazie anche alla mia affidabilità di correntista preciso, che non aveva mai creato un problema.

    Ottenne il prestito richiesto, infine?

    Mi dissero che non ci sarebbero stati problemi ad ottenere il fido richiesto, stante le mie credenziali personali e aziendali, ma purtroppo non essendo socio non mi era possibile accedere al credito.

    Quindi, se ho ben compreso, la politica della banca era di concedere credito solo ai soci. Esatto?

    Si. Ma aggiunsero che acquistando azioni della banca sarei divenuto socio. Anzi, mi consigliarono di farlo perché, essendo l’istituto in  forte crescita, avrei potuto ottenere rendimenti molto interessanti. Tanto che loro stessi, il cassiere e l’altra impiegata con cui ero più in confidenza, mi dissero di avere acquistato loro stessi delle azioni, certi della bontà dell’investimento.

    Le spiegarono i rischi che avrebbe corso? Le mostrarono i prospetti informativi, fornendole tutte le informazioni del caso?

    No, nulla. Mi dissero che non c’erano rischi, perché la banca era in crescita e mi invogliarono col fatto che anche loro avevano fatto lo stesso investimento che stavano proponendo a me. Chi meglio di loro poteva sapere? Io non mi intendo di finanza, tanto che ancora adesso non ho capito bene cosa sia successo…Sta di fatto che, un bel giorno, tornai a casa, ne parlai con mia moglie e decidemmo di acquistare 30.000,00 euro di azioni. Ci sembrava un’ottima opportunità, consigliata da persone “amiche” ed esperte. Inoltre, avremmo potuto ottenere il fido di 50.000,00 euro che ci serviva per ampliare la nostra attività.

    Quando ha capito che qualcosa non andava?

    A fine 2016 dissi al cassiere che volevo vendere le azioni e ritirare i miei soldi, così avremmo potuto aiutare nostro figlio ad acquistare la sua prima casa. Da allora vivo una specie di incubo…il mondo mi è crollato addosso. Quei soldi erano tutto ciò che eravamo riusciti ad accantonare, dopo anni di grandi sacrifici…Improvvisamente venivo a sapere che, non solo quei 30.000,00 euro valevano meno di 10.000,00, ma che neanche avrei potuto averli,  in quanto le azioni erano praticamente invendibili…

    Un’amara scoperta…lei sa, però, che ci sono studi di consulenza che analizzano questioni come la sua e spesso riescono ad ottenere risarcimenti a favori dei clienti truffati?

    L’ho appreso solo quando mi avete contattato voi per questa intervista. Come le dicevo, non ci capisco nulla di finanza, credevo di aver fatto una cosa buona e invece…mi vergogno anche un po’ per esserci cascato, alla mia età…quindi non ne ho parlato con molte persone.

    Nei mesi scorsi sono stati accolti diversi ricorsi all’ACF (Arbitro per le Controversie Finanziarie) e anche i primi giudizi da parte di alcuni Tribunali lasciano ben sperare che si possa finalmente fare giustizia su una questione che ha colpito tanti piccoli risparmiatori, mentre i grandi speculavano alle loro spalle.

     

     


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