Banca condannata a pagare un milione Azienda acquista derivati e ricorre.

    Banca condannata a pagare un milione Azienda acquista derivati e ricorre.

    Se dici derivati in una piazza che per anni è stata battuta dalla bufera di Banca Etruria non passi inosservato. Chi è rimasto scottato da quella vicenda ti guarda come se gli riaprissi una ferita, gli altri drizzano le orecchie.

    E proprio sul filo dei derivati passa una sentenza del Tribunale civile che ha condannato un istituto bancario nazionale a pagare oltre un milione di euro. Per l’esattezza quasi un milione e cento.

    Motivo? Un’azienda agricola ha fatto ricorso proprio alla luce dell’acquisto fatto di derivati: e stavolta ha avuto ragione. Ha avuto ragione sul Monte dei Paschi, non più a gonfie vele come un tempo ma comunque uscito bene da un’altra bella bufera, avendolo il giudice condannato ad un maxi-risarcimento.

    La storia? Semplice in sè. L’azienda aveva accolto la possibilità di un acquisto robusto di derivati per circa ottocentomila euro: in genere sono accordi che passano dalla concessione di un prestito, parte del quale legato all’operazione. Un contratto derivati, interest rate swap (un contratto a termine sullo scambio di un flusso di pagamenti di interessi con un altro), sottoscritto nella notte dei tempi, addirittura nel 2010.

    Poi le cose non erano andate come l’azienda aveva sperato. E in tribunale, durante un iter durato quasi cinque anni dal ricorso presentato nel 2018, aveva lamentato la ricorrenza di una serie di vizi e gravi inadempienze contrattuali naturalmente a carico della banca.

    Banca, beninteso, che ha sempre negato le contestate responsabilità e ribadito la piena legittimità del prodotto ceduto alla cliente. E che potrà giocarsi di nuovo tutte le sue carte in appello. Ma stavolta non è riuscita a convincere il giudice civile. La sentenza emerge ora ma è del 21 dicembre, e accoglie integralmente le contestazioni dell’azienda. Compresa la richiesta più salata: l’integrale rimborso delle somme liquidate negli anni, fino al famoso importo di 800mila euro. L’azienda ha ottenuto la dichiarazione di nullità del contratto ed il totale riconoscimento delle istanze economiche. Non solo il capitale in ballo ma anche la liquidazione degli interessi legali a tasso maggiorato: che insieme alle spese processuali porta il totale oltre il tetto del milione.

    Rimarrà un caso isolato? Ogni vicenda fa storia a sè, è chiaro, e come tale viene affrontata in giudizio. Però non si può neanche escludere che possa suonare come un precedente. Perché le scottature in questo campo hanno portato ad un orientamento giurisprudenziale che sembra pendere più del solito a favore delle posizioni dei clienti delle banche: e potrebbe spingere tanti altri in possesso di strumenti finanziari derivati ad avviare l’iter del ricorso.

    Fonte: La Nazione - Alberto Pierini - Link

     


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