Albanese e i crac bancari: film-denuncia sui risparmiatori che hanno perso tutto

    Albanese e i crac bancari: film-denuncia sui risparmiatori che hanno perso tutto

    «Cento domeniche», la vicenda umana di un tornitore in pensione che rappresenta centinaia di migliaia di lavoratori beffati da dirigenti.

     

    «Ritirare dei soldi? Perché mai? Le sue azioni viaggiano a vele spiegate! Le lasci tranquille a aumentare il loro valore. Le facciamo un prestito e lei potrà pagarlo con gli interessi delle sue azioni». Come poteva il mite tornitore in pensione Antonio Riva, poca scuola e tanta fabbrica, zero lussi e mille sacrifici, resistere alle lusinghe del Signor Direttore della Banca del «suo» paese, di «suo» padre, del «suo» mondo sereno che gli faceva luccicar davanti gli zecchini d’oro collodiani del Campo dei Miracoli? Si fida. Ed è lì che comincia il suo calvario. Il Golgota di un uomo gentile e perbene che giorno dopo giorno vede tutta la sua vita andare in pezzi. Stritolata da una catena di montaggio di meccanica ferocia.

    Quella che Antonio Albanese narra in Cento domeniche, le troppe festività sacrificate al lavoro da una miriade di formiche operaie per strappare un futuro migliore alla famiglia, non è una vicenda umana isolata e individuale. È la storia di centinaia di migliaia di risparmiatori italiani che si fidavano dei loro storici istituti di credito, magari fondati un secolo e mezzo prima «con la firma del luogotenente di Vittorio Emanuele II!», come si fidavano del parroco, del medico condotto, dell’acqua buona che usciva dai rubinetti. E pagarono carissimo un doppio tradimento. Economico e morale: «Sa come qui chiamiamo la nostra banca? La chiamiamo “il confessionale”» Oppure, nel Veneto, «la musina». Il salvadanaio a prova di martellate. Pareva.

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    E se il protagonista del film presentato ieri alla Festa del Cinema di Roma, modesta borghesia metalmeccanica tutta casa, tornio e qualche partitina a bocce, viene inghiottito nel buco nero dei crac bancari perché vuol pagare lui («tocca al padre!») il pranzo di nozze alla figlia che si sposa, il vortice di ipocrisie, truffe e silenzi benvestiti e incravattati si impossessò di centinaia di migliaia di persone diverse. Ciascuna con la sua storia, ciascuna con la sua tragedia. Alcune delle quali, racconta ad esempio Maurizio Crema nel libro edito da nuovadimensione Banche rotte, non ebbero neppure la possibilità teorica (teorica) di leggere certi contratti dalle clausole ambigue firmati sciaguratamente sulla fiducia come capita al nostro Riva nel film di Albanese, che ha girato parte delle riprese cinematografiche proprio nello stabilimento di Olginate, sul ramo lecchese del Lago di Como, dove lui stesso, poca scuola, tanta fabbrica, fece fino a ventidue anni il tornitore.

    Tra le piccole storie infami negli anni dei crac bancari ci fu infatti anche quella di un piccolo risparmiatore di Maggiora, un borgo novarese di 1602 anime, M.P., che nel gennaio 2014, nel pieno della bufera nota agli istituti ma non ai risparmiatori, acquistò azioni di Veneto Banca per 50.000 euro, risparmi d’una vita, fidandosi «ciecamente» dei cassieri non solo in senso figurato: era cieco davvero. Impossibilitato a leggere non solo i caratteri microscopici di certi dettagli ma anche quelli in caratteri cubitali.

    Certo, come racconta il film dell’attore e regista lecchese figlio d’un muratore siciliano immigrato sul Lario dalle Madonie («Anche per lui ho girato nei luoghi dove son cresciuto tra persone che conosco da sempre, attori straordinari»), ci furono funzionari, cassieri e impiegati che come in Cento domeniche (dove spicca la figura tragica di un giovane travet oppresso dai sensi di colpa, Federico) furono presi dallo scrupolo e cercarono di mettere in guardia i risparmiatori più ingenui se non sprovveduti. «Non mi perdonerò mai di aver tradito chi credeva in me», avrebbe confidato ad esempio Marcello Benedetti, già impiegato della Banca Etruria a Civitavecchia, scosso dal suicidio di un pensionato, Luigino D’Angelo, che si era ucciso per aver perso tutto, 110mila euro, in obbligazioni subordinate «a rischio minimo» che poi «nelle successive carte che il cliente firmava» saliva ad «alto rischio, ma quasi nessuno ci faceva caso. Era scritto in un carteggio di 60 fogli». Perché mai leggerli per ore, codicilli compresi, se il funzionario incoraggiava a fidarsi?

    Il signor Resio e la moglie, vicentini, hanno due figli adulti affetti da disabilità mentali invalidanti al 100% e avevano l’incubo comune a tanti genitori: che ne sarà, domani? Così avevano messo da parte per loro (una vita di sacrifici: mai una vacanza, mai un piccolo lusso, mai una pizza...) 266 mila euro. Polverizzati. Fino all’ultimo centesimo. Quando hanno saputo che alcuni clienti privilegiati della Banca Popolare di Vicenza, la «loro» banca, il «loro» salvadanaio, erano stati avvertiti «prima», appena in tempo, per salvare investimenti ben più massicci, esattamente come accade in Cento domeniche , non riuscivano più a deglutire la saliva. Dicono che no, non hanno mai pensato di scrivere a Gianni Zonin, l’allora Re Sole di Vicenza monarca della «Popolare» che dopo aver giurato per anni sui conti a gonfie vele, se l’è cavata senza fare un solo giorno di galera: «Sinceramente, non crediamo che ci avrebbe mai risposto». Il film di Albanese, dicono i titoli di coda, è dedicato a loro. Quelli che si fidarono e furono traditi.

    Fonte: Corriere della Sera - di Gian Antonio Stella - Link


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