Tutto pronto per il piano di fusione tra vari istituti italiani in crisi.
Ne resteranno un paio: Ubi e Banco Bpm in pole position per il riscatto del credito.
C’è aria di primavera araba in Italia per le banche. No, per carità, niente assalto dei seguaci dell’Islam per ‘colonizzare’ i già precari sportelli bancari del Bel Paese. È solo aria nuova, un po’ come le rivolte arabe capaci di rovesciare i regimi preesistenti per ‘gattopardizzare’ poi il nuovo quadro sociopolitico.
Insomma, la sfida lanciata dall’intero sistema bancario italiano (e quindi in primis da Bankitalia) è quella di procedere celermente con la riduzione degli istituti bancari, in modo che al massimo tra un paio d’anni avremo un numero di sportelli minore nel numero ma più solido nella sostanza.
Abbiamo assistito, nell’ultimo periodo, a una grave crisi che ha attraversato molti istituti bancari italiani, da Banca Popolare di Milano a Ubi passando per il Credito Valtellinese (CreVal) alla Popolare di Sondrio, transito alla Carige e sosta alla Bper (Banca dell’Emilia Romagna) per scendere alla Popolare di Bari senza mai dimenticare Monte dei Paschi: la fusione è in atto, signori, e non sarà certo fredda. Quando si parla di soldi, investimenti e mutui la fusione è sempre un tema bollente, soprattutto perché, un po’ seguendo la falsariga della pellicola Highlander, degli istituti in stato critico ne rimarranno in assetto verticale soltanto un paio. In testa, a guidare questo nuovo assetto, Ubi e Bpm con Bper altrettanto in pole, mentre un discorso a parte merita Mps, che attende sempre l’uscita dello Stato dal suo pacchetto azionario per schiarire i propri limiti e orizzonti.
Che significa questo in un mercato sempre più selvaggio, dove gli stessi istituti oltre a farsi una concorrenza spietata non rispettano investitori e risparmiatori? All’orizzonte qualche grattacapo per i correntisti non dovrebbe esserci, ma quando si parla di banche pronte alla fusione i sonni tranquilli, talvolta, si trasformano nei peggiori incubi.