Fa un certo effetto rileggere oggi quanto affermato tre anni fa da Marco Jacobini, Presidente della Popolare di Bari: “quando il socio ha bisogno di monetizzare, la banca deve essere pronta”.
Proprio da allora, infatti, la quotazione teorica delle azioni dell’Istituto Bancario pugliese, feudo della Famiglia Jacobini, non solo ha subito un ribasso del 75% circa
(da 9,53, prezzo fissato a tavolino dal c.d.a. nel 2015, si è passati a 7,5 euro all’inizio della negoziazione e poi a 3,89 euro a giugno scorso, fino agli attuali 2,38 euro, aggiornati ad agosto), ma di fatto queste azioni sono invendibili.
Non basta, anche i bond hanno subito ribassi preoccupanti: dall’improbabile 96,49 euro di partenza ora il prezzo è a meno di 70 euro, dopo aver sfiorato i 60 alla metà di agosto.
A questo punto, lo strumento dell’HI-Mtf, dove le azioni della Popolare di Bari sono negoziate da un anno, lungi dall’essere piattaforma di salvezza per i tanti soci, appare sempre più chiaramente essere stato uno strumento per congelare il problema, mentre il titolo continuava a crollare a tavolino. L’aspetto paradossale della vicenda è che, a fronte della perdita di capitalizzazione per oltre un miliardo, i bilanci sono stati chiusi in utile, sebbene risicato, con tanto di placet di collegio sindacale e revisori. I primi di agosto, però, la relazione semestrale emanata dall’Istituto Bancario vede una perdita di 100,9 milioni euro, dovuta all’azzeramento degli avviamenti per 75,2 milioni di euro e a rettifiche su crediti per 64,9 milioni di euro. In tutto questo, la trasformazione in Società per Azioni, prevista per settembre, è stata rinviata a dicembre.
Ancora non si comprende l’interpretazione della Vigilanza sulla gestione personalistica (anzi familistica) che vede al timone di questa banca Marco Jacobini, presidente o amministratore delegato da 40 anni, e i figli, direttore e vicedirettore generale, tutti con stipendi da capogiro, la cui governance evidentemente è considerata affidabile ed adeguata.
Strano, però, che questa banca non abbia mai fatto il passo della quotazione in Borsa e continui a rimandarlo, nonostante i suoi numeri superino di molto tante altre quotate e nonostante gli oltre 70mila soci investitori, a suo tempo imbarcati con la promessa di un prodotto finanziario di qualità, sui quali oggi grava sia la perdita di capitalizzazione sia l’impossibilità di vendere. Probabilmente l’idea di affrontare un mercato vero che genera prezzi veri non piaceva alla famiglia di banchieri che anziché Piazza Affari hanno preferito piazzare i propri titoli a piccoli investitori, illudendoli con grandi aspettative.
Chi negli ultimi mesi si è rivolto all’Arbitro per le controversie finanziarie e ha ottenuto esito favorevole per un rimborso, ha dovuto subire l’ulteriore beffa di vedere completamente ignorato da parte della banca il parere dell’Arbitro, che non è vincolante. In attesa della prossima puntata della triste telenovela di Banca Popolare di Bari, ai tanti soci azionisti ed obbligazionisti non resta che intraprendere le vie legali per sperare venga fatta finalmente chiarezza e giustizia sulla vicenda.