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È vinto il ricorso contro il Mef a Roma: i clienti depositanti dell'ex Banca Marche hanno il diritto di avviare le procedure risarcitorie per le quali erano stati esclusi e di riaprire le istruttorie con il fondo.
Il Tar, infatti, ha riconosciuto il diritto degli azionisti ex Banca Marche a partecipare al processo risarcitorio di cui fino ad ora erano stati esclusi, e ha condannato la commissione tecnica istituita dal MEF a riaprire l'istruttoria per ottenere l'atteso indennizzo che la legge istituisce attraverso il fondo di compensazione dei depositanti.
Dopo il fallimento di Banca Marche e di altre banche del centro Italia (Carife, Banca Etruriae Carichieti) e del Veneto (Popolare di Vicenza e Veneto Banca), il MEF ha istituito un fondo di compensazione dei depositanti. Dei circa 500.000 soci coinvolti nell'incidente, 150.000 depositanti hanno presentato istanza e la maggior parte di essi ha già ottenuto il risarcimento previsto dalla legge. Per alcuni di questi, tuttavia, la Commissione ha rigettato le domande risarcitorie, sostenendo l'esistenza di inadempimenti che condizionano il diritto al risarcimento.
I risparmiatori azionisti traditi da Banca Marche ammessi al processo sono 3.400 contro i 5.000 richiedenti.
I requisiti sono:
I soci di Banca Marche hanno presentato ricorso al TAR del Lazio, affermando la legittimità dei loro diritti ad essere rimborsati. Il TAR ha emesso sentenza in 15 articoli il 16-17 marzo a sostegno del ricorso, riconoscendo la fondatezza delle argomentazioni e sostenendo che i provvedimenti di diniego erano “manifestamente illegittimi e lesivi di eccessivo potere per carenza di istruttoria e motivazione ."
Non va dimenticato che queste massicce violazioni sono state ulteriormente confermate dalla recente sentenza del Tribunale Penale di Ancona, che ha condannato i vertici della banca a complessivi 118 anni di reclusione. Come asserito in appello e riconosciuto dal Tar, la sussistenza di tali diffuse inadempienze dell'istituto di credito avrebbe comportato una valutazione positiva delle pretese risarcitorie.
A seguito della sentenza del Tribunale di Brindisi (giudice Francesco Giliberti) del 10 marzo 2023, che annunciava la risoluzione del contratto di acquisto delle azioni della Banca Popolare di Bari, quest'ultima è stata successivamente condannata al pagamento in favore dei depositanti che avevano investito il loro denaro in questi titoli.
Tra l'altro, risparmi per danni ricevuti in incidenti gravi, i cui postumi fisici sono purtroppo parzialmente permanenti nei risparmiatori. Nei mesi di dicembre 2014 e giugno 2015 il depositante ha acquistato dalla Banca Popolare di Bari, di cui era cliente da anni, le medesime azioni che, secondo il depositante in giudizio, erano al sicuro da un titolo senza capitale a rischio.
Solo successivamente, dopo i noti fatti di cronaca negli istituti di credito pugliesi, il risparmiatore si rese conto della natura, dei rischi e dei pericoli degli investimenti effettuati e, di conseguenza, il valore delle sue partecipazioni era praticamente nullo. I tentativi di risolvere amichevolmente la vertenza sono stati vani e nel 2019 i soccorritori, assistiti dall'avvocato Emilio Graziuso, hanno portato avanti il processo, che si è concluso con sentenza il 10 marzo 2023.
Pertanto, il Tribunale di Brindisi ha riconosciuto la violazione da parte della banca intermediaria delle norme di settore, in particolare degli obblighi informativi da essa assunti, e ha successivamente dichiarato la risoluzione del contratto e dei diritti in favore dei consumatori, chiedendo un risarcimento danni pari all'intero importo dell'investimento Oro, EUR 25.819,05, più interessi alle date di investimento. I giudizi non sono isolati.
Dal 2021 il tribunale e il magistrato di Brindisi hanno emesso pressoché innumerevoli sentenze e ordinanze, ed è stata accolta l'azione legale promossa dalla depositante Banca Popolare di Bari. Da ultimo, in data 3 febbraio 2023, il Tribunale (Roberta Mara) ha emesso un'ordinanza di condanna della Banca Popolare di Bari al pagamento di euro 50.025 oltre interessi a parte correlata della “Dalla Parte del Consumatore”.
La Banca nazionale dell'Arabia Saudita, il maggiore azionista del Credit Suisse, ha rifiutato di fornire ulteriore assistenza finanziaria al prestatore svizzero.
Bloomberg ha riportato la notizia citando un'intervista con il governatore della Banca nazionale dell'Arabia Saudita Ammar Al Khudairy, quando gli è stato chiesto da Bloomberg Television in merito a un possibile ulteriore sostegno, ha detto "la risposta è assolutamente no, per una serie di ragioni che vanno oltre le più semplici ragioni normative e statutarie ."
Il fondo sovrano saudita detiene una partecipazione del 37% nella Banca nazionale ed è diventato il maggiore azionista del Credit Suisse alla fine dello scorso anno dopo aver acquistato una partecipazione del 9,9% nella banca. L'impatto in Borsa è stato immediato: le azioni sono scese del 30%. Il titolo è ai minimi storici e il costo per assicurare gli investitori contro il default è molto alto. I voucher credit default swap del Credit Suisse si stanno avvicinando alla soglia dei mille punti, suggerendo una seria minaccia per la continuità aziendale del gruppo.
Le tensioni sui mercati finanziari sono rimaste elevate a seguito delle turbolenze innescate dal fallimento della banca statunitense Silicon Valley Bank (Svb). Le notizie di Credit Suisse di oggi hanno fatto tremare i polsi agli investitori: i titoli UBS hanno toccato il -30% prima di salire lentamente fino al -24% quando il principale azionista Saudi National Bank (Snb) ha dichiarato che non avrebbe fornito ulteriore liquidità all'istituto.
Il crollo ha scatenato una tempesta di vendite in tutto il settore bancario europeo. L'indice Stoxx è sceso del 7,11%. A fare paura non è più la piccola banca della Silicon Valley negli Stati Uniti, ma la seconda banca più grande della Svizzera che ora è nelle mani degli arabi. La Banca Nazionale dell'Arabia Saudita detiene infatti una quota di maggioranza del 9,8% in Credit Suisse, ma gli arabi in generale detengono blocchi vicini al 20% del capitale, tenendo conto anche delle quote di Qatar Holding (5,03%) e Olayan Gruppo (4,93%). Fondato nel 1856, il Credit Suisse è la spina dorsale della piazza finanziaria svizzera e ha contribuito allo sviluppo delle ferrovie del paese, alla creazione di colossi assicurativi come Swiss Re o Swiss Life e al finanziamento di grandi aziende industriali. Ma il Credit Suisse è in subbuglio da due anni dopo il crollo della società finanziaria britannica Greensill, segnando l'inizio di una serie di scandali che hanno paralizzato la banca. Da marzo 2021, il titolo ha perso oltre l'83% del suo valore.
La FINMA (Autorità svizzera di vigilanza sui mercati finanziari) e la Banca nazionale svizzera hanno affermato che "se necessario", la banca centrale "assicurerà liquidità per Credit Suisse".
Il position statement è stato rilasciato insieme a un comunicato stampa congiunto, in cui si afferma chiaramente che "data l'attuale volatilità del mercato bancario statunitense, non vi è alcuna indicazione che le istituzioni svizzere siano a rischio di contagio diretto". Ecco cosa si legge nelle note. "Secondo le normative svizzere, tutte le banche devono disporre di riserve di capitale e di liquidità che soddisfino o superino i requisiti minimi degli standard di Basilea. Inoltre, le banche di rilevanza sistemica sono soggette a speciali requisiti di capitale e liquidità.
Una donna di Piacenza si è ritrovata il conto in banca svuotato da una serie di bonifici non autorizzati.
Purtroppo sempre più spesso perdiamo soldi e risparmi a causa di certe truffe di cui siamo vittime. Pensiamo ad esempio all'utilizzo di carte clonate per prelevare denaro presso sportelli automatici, oppure per effettuare acquisti online ad opera di terzi che riescono ad accedere ai nostri dati di pagamento.
Tuttavia, i casi di frode non sono gli unici casi in cui perdiamo denaro. Lo sa bene una signora di Piacenza che si è trovata svuotata il conto in banca a causa di operazioni bancarie incontrollate. Nello specifico, dal conto corrente della donna sono partiti 63 bonifici non autorizzati, che hanno portato la vittima a perdere ben 30.000 euro.
Ad oggi si stanno ancora facendo delle verifiche per cercare di capire cosa sia successo, ma si può già parlare di mancata e tempestiva azione di blocco da parte della banca.
La banca della signora si è accorta prima del movimento sospetto del conto e solo successivamente ha bloccato il conto corrente.
Il blocco però non è avvenuto abbastanza in fretta, perché nel frattempo la cliente aveva perso 30.000 euro a causa di 63 bonifici non autorizzati. Per questo motivo la vittima ha deciso di rivolgersi all'ABF (Arbitro Bancario Finanziario) per chiedere alla banca di risarcire l'importo pari alla perdita subita. Questo è ovviamente un caso speciale che richiede un'indagine specifica. Nel frattempo, i correntisti si chiedono se qualcuno sia responsabile di quanto accaduto o se si sia trattato di un problema tecnico.
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