“Clausola floor”: se hai sottoscritto mutui tra il 2015-2022 hai pagato più del dovuto ed hai diritto al rimborso

    Si chiama “clausola floor” e potrebbe rappresentare un elemento determinante per il rimborso degli interessi per mutui a tasso variabile nel periodo 2015-2022. In pratica, nei contratti in cui era prevista, la  speciale clausola detta “floor”, impediva agli interessi di scendere sotto una certa soglia e, di conseguenza, di poter avvantaggiare il cliente in caso di tassi di mercato negativi, proprio come successo nel periodo tra il 2015 -2022.

    La Corte di Appello di Milano, recentemente, l’ha giudicato vessatoria perché quando i tassi scendono o, addirittura, diventano negativi, il floor finisce per essere vantaggioso esclusivamente per la banca.

    Anche la Banca d’Italia si è già espressa sull’argomento, richiamando gli operatori per aver applicato tale clausola ai propri clienti, senza che però questo venisse comunicato nei contratti. Chi ha pertanto sottoscritto tali condizioni deve essere rimborsato, dato che ha pagato rate più alte di quelle effettive legate alle oscillazioni del mercato.

    Si tratta di un risarcimento dovuto a prescindere o meno dal fatto che il cliente ne fosse a conoscenza, visto che comunque non ha potuto “beneficiare dell’Euribor negativo”.

    Per ottenere il rimborso degli interessi pagati bisogna, innanzitutto, bloccare la prescrizione inviando reclamo alla banca e chiedendo, contestualmente, il rimborso delle maggiori somme esborsate.

    Successivamente, si procederà con la costituzione in giudizio della banca.

    Numerosi sono gli istituti coinvolti: oltre a Banco Bpm e Deutsche Bank, sui quali si è già pronunciata a Corte di Appello di Milano,  mutui variabili con floor sono stati individuati in:

    1. Banca Mediolanum;
    2. Banca Popolare di Bari;
    1. Banca Popolare di Puglia e Basilicata;
    2. Banca Popolare Pugliese;
    3. Banca Popolare di Sondrio;
    4. Banca Sella, Webank;
    5. Banco di Sardegna;
    6. Bancoposta;
    7. Credem; Fineco;
    8. HelloBank;
    9. BPER;
    10. Cassa Padana;
    11. Credit Agricole;
    12. Extrabanca;
    13. Ing, Intesa San Paolo;
    14. Monte dei Paschi di Siena;
    15. Sparkasse;
    16. Unicredit;
    17. Volksbank;
    18. Widiba.

    In sostanza, chiunque abbia richiesto mutui o prestiti alle banche elencate potrebbe aver diritto al rimborso, anche nei casi in cui il mutuo sia stato già estinto,

    Il primo step da fare, in questo caso, è verificare le condizioni contrattuali e, ovviamente, in caso di riscontro positivo, farsi assistere nel percorso del previsto rimborso da professionisti esperti nel settore.


    Nella bufera della Banca Popolare di Bari coinvolta anche la Cassa di Risparmio di Orvieto, condannata dal Tribunale di Terni.

    Il Tribunale di Terni ha condannato la Cassa di risparmio di Orvieto a risarcire un risparmiatore che aveva sottoscritto un contratto per l’acquisto di azioni dell’ex Banca popolare di Bari per un totale di 7.223 titoli.

    Questo il commento dell’Unione nazionale consumatori dell’Umbria a seguito della sentenza: “Il giudice evidenza il carattere illiquido delle azioni in questione e gli obblighi informativi a carico dell’intermediario.”

    In pratica, secondo il parere del giudice Luca Ponzillo, per quegli strumenti finanziari sussistevano difficoltà di smobilizzo a condizioni significative, e quindi per l’investitore ci sarebbero stati ostacoli o limitazioni allo smobilizzo entro un lasso di tempo ragionevole, a condizioni di prezzo significative.

    Insomma, acquistati ad un valore di circa 9 euro ad azione, quei titoli non avrebbero garantito un affare per il sottoscrittore dell’accordo.

    Ora l’auspicio è che, sulla scorta del tribunale di terni ci siano altri pronunciamenti simili, affinchè, come ha dichiarato l’Unione nazionale consumatori: “D’ora in poi tutti i risparmiatori coinvolti possano ricevere giustizia”.


    La Procura della Repubblica di Bari chiude le indagini sulla Banca Popolare di Bari, coinvolti i vertici e dipendenti dell’Istituto per truffa.

    Abbiamo già affrontato in passato la vicenda che ha visto artefice di presunti illeciti la Banca Popolare di Bari. Questi gli sviluppi.

    Sono 176 gli investitori della BPB “particolarmente vulnerabili”, dice la Procura,“indotti, mediante artifizi e raggiri, nonché approfittando della particolare situazione di vulnerabilità, all’acquisto di prodotti finanziari illiquidi e ad elevata rischiosità emessi dal predetto istituto bancario”.

    Le loro denunce hanno portato alla luce una presunta truffa da 8 milioni di euro, commessa nel periodo 2014-2015.

    Al centro della vicenda, investimenti basati sulla scorta di informazioni poco chiare e questionari predisposti ad arte con i quali si delineavano i profili di clienti in grado di sopportare un rischio medio-alto.

    In sintesi “gli indagati non avrebbero fornito agli investitori notizie appropriate per effettuare consapevolmente le proprie scelte di investimento”.

    Inoltre, sarebbe stata omessa la raccolta di tutte le informazioni necessarie ai fini della valutazione dell’adeguatezza dello strumento finanziario da collocare in relazione all’esperienza, alla conoscenza e agli obiettivi di investimento della clientela; la consegna ai clienti dei documenti previsti per legge e l’adeguata informazione sulla natura illiquida e particolarmente rischiosa del titolo, non negoziato su mercati regolamentati e caratterizzato da un’alea, che doveva essere specificatamente rappresentata.

    Un raggiro che è stato in grado di creare perdite vertiginose e che vede coinvolte 88 persone, tra organi di vertice e responsabili di filiale destinatari di altrettanti avvisi di conclusione delle indagini preliminari con l’accusa di truffa.

    Si tratta dei vertici della vecchia gestione della BpB e dei responsabili delle filiali dell’istituto di credito. Tra questi Marco Jacobini, presidente del Cda, suo figlio Gianluca, dg assieme a Vincenzo De BustisFigarola, l’Ad Giorgio Papa e il funzionario Gianluca Bonerba. I primi tre sono definiti negli atti “determinatori del disegno criminoso” messo in atto con direttive e delibere che risalgono anche a 10 anni fa.

    L’indagine attuale fa seguito a quella già avviata nel 2019, quando la Procura di Bari iscrisse nel registro degli indagati per concorso in bancarotta due ex manager della Banca Popolare di Bari coinvolti nell’inchiesta sul crac delle società del gruppo Fusillo di Noci (Bari).

    Secondo l’ipotesi dei pm, la banca avrebbe contribuito al dissesto delle società continuando a erogare credito quando le imprese erano già in crisi, aumentandone così i debiti.

    All’epoca, le indagini della Guardia di Finanza consentirono “di far emergere il ruolo della Banca Popolare di Bari quale principale creditore delle imprese sottoposte a procedura concorsuale, risultate esposte con l’istituto di credito per una cifra di poco inferiore ai 140 milioni di euro, a seguito delle ingenti linee di credito elargite negli anni”.

    La banca, in sostanza, nonostante fosse creditrice di oltre 100 milioni di euro dalle società del gruppo Fusillo, all’epoca in procedura di concordato preventivo, nel marzo 2019 avrebbe erogato in loro favore nuova finanza per circa 40 milioni di euro.

    Un “intervento estremamente oneroso - annotava la Gdf - che si aggiunge ai numerosi già effettuati in passato, sulla cui sostenibilità finanziaria appare necessario investigare”.


    “Come diventare ricco senza sforzi”: Lyconet, da fenomeno virale  su TikTok al fallimento.

    Diventare ricco dall’oggi al domani con il minimo sforzo. Non è un po’ il sogno di tutti?

    Un sogno tanto bello quanto effimero, che ha portato in rovina decine di migliaia di consumatori. L’ultimo caso di cronaca, in ordine di tempo, è quello della società di marketing Lyconet fondata in Austria nel 2003, con 15 milioni di membri.

    Si tratta di una delle due branche di Lyoness: la shopping community di myWorld e l’investment company, appunto Lyconet, i cui guadagni sono basati sul discusso metodo piramidale del cashback: il vantaggio di ricevere un rimborso tramite acquisti.

    Per incrementare il numero di utenti,  Lyconet ha fatto in modo che ogni cliente del servizio cashback, acquistando un pacchetto di buoni sconto, si trasformasse in un promoter che, portando nuovi affiliati, avrebbe guadagnato.

    Un’operazione che si poteva concretizzare solo anticipando dei soldi (fino a 2500 euro) e tentare di scalare i vertici della piramide più rapidamente possibile.

    Si tratta di un meccanismo di vendita ritenuto scorretto e quindi illecito  a livello di pratica commerciale.

    In pratica Lyconet, per facilitare l’ascesa in cima, proponeva, ai suoi nuovi pacchetti di buoni sconto per avere punti aggiuntivi facendo in modo che essi stessi, a loro volta, trovassero sempre nuove persone, anche utilizzando un sistema di “Cashflow Setup”.

    Con dei video diffusi sui vari social, in particolare TikTok, i microinfluencer “spammavano” questo modo “non convenzionale” di fare soldi, spacciandolo per rivoluzionario e convincendo migliaia di utenti ad entrare in un sistema ingannevole di promozioni e facili guadagni in cui, molto spesso, sono riusciti a coinvolgere anche amici e familiari.

    Questa la loro presentazione sul sito ufficiale: “Siamo una Marketing Agency che supporta le persone in tutto il mondo affinché possano diventare imprenditori indipendenti. Il nostro modello di business di successo internazionale è radicato in oltre 50 paesi. Grazie al coaching individuale, al mentoring e a eventi esclusivi, diamo gli strumenti ideali per i nostri Lyconet Marketer affinché possano costruire una solida carriera come imprenditori.”

    Un meccanismo che, ben presto, ha rivelato tutte le sue falle. 

    Nel 2018, infatti, l’Agcm ha decretato la scorrettezza del sistema di promozione utilizzato dalla società Lyoness Italia S.r.l. per diffondere fra i consumatori una formula di acquisto di beni con cashback: integrando infatti un sistema dalle caratteristiche piramidali, rientra nelle pratiche commerciali definite ingannevoli dal Codice del Consumo.

    Ciò è costato alla società il pagamento di una sanzione di 3,2 milioni di euro imposta dall’Antitrust che, di fatto, ha certificato la piramidalità del sistema Lyoness. 

    L’Autorità ha, inoltre, accertato le modalità ingannevoli con le quali vengono prospettate le caratteristiche, i termini e le condizioni del sistema di promozione Lyoness , aspetti non adeguatamente chiariti sia sui siti internet che negli eventi promozionali, ed in più l’assenza, nei siti internet, di alcune informazioni essenziali obbligatorie nelle fattispecie di vendite a distanza, come, ad esempio, la modalità di trattamento dei reclami, diritto di recesso e foro competente.

    La dichiarazione di fallimento, però, viene ora utilizzata come una clava contro gli stessi consumatori ingannati.

    Ecco la risposta fornita dalla società per evitare di rimborsare le vittime, indipendentemente dal Paese:
    ——————————————————
    Gentile cliente,

    La ringraziamo per la sua risposta e ci scusiamo per il ritardo.
    Come forse già saprà, il 23 ottobre 2023 il tribunale distrettuale di Werdenberg-Sarganserland ha dichiarato il fallimento della società Lyoness Europe AG. Purtroppo, poiché il contratto del Marketer è con questa azienda, non è più possibile procedere al rimborso, anche se da parte Sua l’offerta in tal senso è già stata accettata. Tutti gli altri poteri decisionali in relazione all’attività di Lyoness Europe AG spettano ora esclusivamente al funzionario fallimentare competente in Svizzera.
    Cordiali saluti,
    Il team di supporto Lyoness

    A cura di Gin.Merc.


    Lo “strano caso” di Hub management: la truffa immobiliare  da 13 milioni di euro di cui nessuno parla.

    La vicenda Hub Management, che vede coinvolte centinaia di investitori in tutta Italia, ha aspetti e contorni che hanno dell’incredibile: un’operazione truffaldina per milioni di euro, che ha portato sul lastrico numerosissime persone, ma che, allo stesso tempo,  è praticamente passata quasi inosservata alla ribalta nazionale, nonostante i numeri impressionanti.

    Questi in pratica i fatti: la società Hub srl negli anni ha raccolto milioni di euro fra risparmiatori per investire nel ‘mattone’ promettendo guadagni facili ed elevati in realtà mai ottenuti.

    Soldi mai restituiti fino a trovarsi, come accertato in sede fallimentare, con un passivo superiore ai 13 milioni di euro e un attivo di poche migliaia di euro che invece avrebbe dovuto contare sugli immobili in possesso della società.

    Con uno degli investitori coinvolti abbiamo provato a fare luce sull’intricata vicenda.

    Come è venuto a conoscenza dell’offerta della Società Hub?

    Tramite Facebook e poi ho visionato il loro sito web.

    Ricorda che tipo di investimento proponevano e perché ha deciso di partecipare?

    Venivano proposti investimenti immobiliari, principalmente su immobili della città di Milano. Ho deciso di partecipare perchè i rendimenti erano veramente interessanti e perchè ho avuto feedback positivi da altre persone che avevano già investito i propri risparmi.

    Può dirmi l’entità economica del suo investimento e che tipo di guadagno Le avevano prospettato?

    Ho investito 20.000 euro tramite associazione in partecipazione con apporto di capitali. Il rendimento era di oltre il 10% in circa 8-10 mesi di operazione.

    Il contratto di investimento è stato sottoscritto direttamente con un collaboratore della Società oppure tramite scambio di e-mail?

    Il contratto è stato sottoscritto direttamente con la società HUB e firmato appunto dal suo amministratore unico, Maurizio Fumagalli.

    Ha partecipato a qualche evento organizzato dalla Società e se la risposta è si, dove si è tenuto, quando e se ricorda chi vi ha partecipato tra i relatori?

    Sì ho partecipato all'HUB summit del gennaio 2019 a Milano, in un hotel prestigioso del centro di Milano - Westin Palace (a pochi passi dalla stazione centrale). Tra i relatori vi erano: Ciro Rizzotto, Alessandro James Vescovi, Andrea Beretta.

    Abbiamo letto la sua recensione in cui li ha definiti truffatori, quando si è reso conto che si trattava di una truffa?

    Mi sono reso conto che si trattava di una truffa a partire dalla seconda metà del 2020, quando sono venuto a sapere che anche altre operazioni erano rimaste al palo, cioè gli investitori non avevano visto ricevere indietro i capitali delle operazioni. Per il sottoscritto il ritardo nella restituzione ammontava ormai a oltre 10 mesi.

    Conosce altre persone che, come lei, si sono affidate a questa società?

    Conosco almeno altre 100 persone nella mia identica situazione 

    Ha provato a recuperare i suoi soldi e in che modo?

    Sì tramite un avvocato specializzato in questo tipo di truffe. Abbiamo fatto denuncia querela a livello penale e inoltre abbiamo fatto richiesta di fallimento al Tribunale, dove siamo stati ammessi al passivo.

    A cura di Simona Tenentini


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