L’innovazione, intesa come innovatività del prodotto o del servizio offerto, costituisce il connotato fondamentale, decisivo, che caratterizza una start-up rispetto ad ogni altra impresa.
Premesso ciò ci si chiede: quanto il sostegno pubblico di uno Stato e di un’amministrazione attente alle dinamiche dell’innovazione è in grado di intervenire con l’intento di promuovere e sostenere la nascita e la crescita delle imprese innovative? E l’Italia, a riguardo, a che punto è?
Ce lo chiediamo anche in relazione al fatto che nel nostro Paese a questo tipo di sostegno si è giunti relativamente di recente, in un momento, il 2012, in cui non era soltanto necessario incentivare e sostenere le imprese innovative, ma nel quale tutto il sistema economico ed imprenditoriale italiano, nonché l’occupazione, soprattutto giovanile, erano così duramente provati dalla grande crisi da aver bisogno di una scossa decisiva.
Come sostenuto dalla prima relazione annuale sullo stato di attuazione della policy in favore delle imprese innovative[1], «edificando un’impalcatura normativa conforme alle esigenze di tutti gli attori dell’ecosistema delle startup, il Decreto Crescita 2.0 trascende dal mero esercizio di law-making e assume la valenza di una policy organica e coerente che identifica nel sostegno pubblico all’imprenditoria innovativa un nuovo modo di fare politica industriale».
A cinque anni dalla sua nascita, questo impegno, anche se forse un po’ tardivo, nel sostenere l’innovazione e le imprese che la perseguono, è divenuto sempre più solido e concreto, come dimostrano anche le ultime scelte di politica economica in materia, definite nella legge di bilancio 2017.
I numeri, i dati reali, forniti dalla segreteria tecnica del Ministero dello sviluppo economico e da Infocamere, pubblici e liberamente fruibili per il cittadino, vedono, nel confronto degli anni 2014, 2015, 2016, un aumento significativo del numero di start-up innovative iscritte alla sezione speciale del registro delle imprese ai sensi del d.l. 179/2012 (i dati aggiornati al 30 giugno 2016 ci danno una crescita di 1.693 unità). Anche l’incidenza di società di capitali risulta in crescita, come il dato riguardante l’occupazione (con un incremento di dipendenti tra 2015 e 2016 dell’85%), la crescita della quale, in periodo di crisi, rappresentava uno degli obiettivi principali del decreto crescita 2.0. Con dipendenti si vogliono intendere tutti coloro i quali si trovino in possesso di un contratto di lavoro subordinato con l’azienda, inclusi i lavoratori part-time e quelli stagionali; il dato non comprende, invece, i lavoratori in possesso di partita IVA.
Un ultimo dato sull’occupazione giovanile, altro punto d’interesse fondamentale del decreto crescita 2.0: le start-up a prevalenza giovanile (under 35) sono il 22,3% del totale, una quota più di tre volte superiore rispetto a quella delle normali società di capitali a prevalenza giovanile (6,7%). Le società in cui almeno un giovane è presente nella compagine societaria sono 2.290, il 38,5% del totale start-up, contro un rapporto del 13,2% se si considerano le società di capitali con presenza giovanile.
Un’attenta analisi di tutte le forme di intervento pubblico a sostegno delle start-up, con riferimento anche alle esperienze di altri Paesi e da quanto emerge dai dati appena riportati, possiamo vedere come il decreto crescita 2.0, e l’azione di supporto pubblico che da questo ha preso le mosse, andandosi poi a sviluppare in forme nuove e più complesse, abbia effettivamente portato ad una crescita ed un complessivo miglioramento dell’ecosistema italiano dell’innovazione, dell’high-tech, del trasferimento tecnologico e, più in generale, del business “2.0”.
D’altro canto, c’è da constatare come la crescita, pur continua e su buoni ritmi, senza dubbio, non sia stata “verticale”, dotata cioè di una forza tale da modificare sensibilmente ed indiscutibilmente il quadro macroeconomico del Paese, paragonabile a quelli dei Paesi leader del settore. Tuttavia il solco tracciato è netto, preciso, difficilmente contestabile: l’Italia, sia pure in ritardo rispetto a molti altri Paesi, ha senz’altro deciso di puntare con decisione sull’innovazione e sull’high-tech; e tale impegno, dal 2012 ad oggi, non ha fatto che consolidarsi e svilupparsi.
In questo quadro, si ritiene quello del supporto pubblico al fenomeno uno dei fronti principali, più importanti e che più di ogni altro possono andare ad incidere sulla situazione reale, e dare finalmente la scossa decisiva ai dati di cui sopra.
A questo punto, con una crisi globale ormai, ci si augura, quasi completamente alle spalle, la domanda sorge spontanea: quale momento migliore per provare, davvero, a fondare un Paese nuovo, un Paese votato all’high-tech ed all’innovazione, un Paese “2.0”?