Lilli Gruber racconta “La notte dei fuochi”.

    Lilli Gruber racconta “La notte dei fuochi”.

    Nella notte tra l’11 e il 12 giugno del 1961, un gruppo di terroristi sudtirolesi, aderenti alla Befreiungsausschuss Südtirol, fecero esplodere numerose bombe al plastico che fecero saltare decine di tralicci dell’alta tensione in Alto Adige.

    Nota come la “Notte dei fuochi” o del Sacro Cuore costituiscono motivo centrale dell’ultimo libro di Lilli Gruber “Inganno”, edito da Rizzoli, da cui emerge che quegli attentati furono solo una parte, anche se la più clamorosa, di un progetto ben definito: la lotta per l’indipendenza del Sud Tirolo e la sua riunificazione con l’altro Tirolo e l’Austria. Lilli Gruber, altoatesina di Bolzano di lingua tedesca, che avrebbe cominciato a parlare l’italiano solo a sei anni, necessariamente a scuola, quando la famiglia per ragioni di lavoro legate all’attività imprenditoriale del padre Alfred, si trasferì a Verona, lo ha raccontato in un libro intenso, caratterizzato da una formula ibrida che mescola romanzo e reportage giornalistico insieme, a capitoli alternati.

    Il romanzo racconta la storia di tre giovani sudtirolesi, Peter, Max e Klara, che in diversa misura hanno partecipato agli attentati, personaggi che il racconto di Lilli Gruber ha inteso farne delle figure simboliche, ciascuna delle quali ben rappresenta un quadro di interni famigliari complessi che conducono il lettore verso i tanti condizionamenti posti dalla posizione importante delle famiglie stesse, che hanno a che fare con il nazismo da una parte, con il pericolo comunista dall’altro, molto presente in quegli anni e, su tutto, con una serie di relazioni internazionali che vedevano nel Sud Tirolo una sorta di presidio armato anticomunista. Da qui un grande intrecciarsi di servizi segreti, Cia in testa, e naturalmente italiani, sia ufficiali che deviati. In questo senso, aggiungerei ai tre giovani protagonisti anche la figura di Umberto, l’ufficiale dei carabinieri in forza ai servizi segreti, al quale l’autrice ha saputo dare, nella vicenda che racconta, lo spessore del personaggio vero.

    Una vicenda che l’autrice ama interrompere con le incursioni della giornalista che, con il piglio dell’inchiesta, va a intervistare i protagonisti veri del tempo, oggi ormai anziani, oppure, nel caso della loro scomparsa, i figli di quegli stessi protagonisti, considerati eroi in patria, che misero la loro firma sugli attentati, che in alcuni casi – al di là delle intenzioni – procurarono morti sia tra i civili che tra le forze dell’ordine.

    A riguardo, certe testimonianze hanno davvero del sorprendente per l’ostinata passione che esprimono nel difendere la loro storia. Valga per tutti quella di Siegfried Steger, protagonista della Notte dei Fuochi e di tante altre azioni dinamitarde, condannato in Italia, dove, se rientrasse, potrebbe tranquillamente essere arrestato. Oggi vive con la compagna in un “silente sobborgo di Innsbruck” e non solo si dichiara per nulla pentito “per le tragedie di quella stagione, per gli anni di prigionia scontati dagli amici e famigliari”, come scrive la Gruber, ma dice anche che sono gli italiani che dovrebbero scusarsi, affermando “Avrebbero dovuto andarsene subito, ridare il Sudtirolo ai sudtirolesi”, sostenendo la validità di un eventuale autodeterminazione del popolo.

    Leggendo di lui e di altri protagonisti non si può non pensare agli istriani che, invece di combattere per la loro terra cercando di riprendersela dalle mani di uno Stato straniero come hanno fatto gli altoatesini, hanno scelto, viceversa e in massa, la strada dell’esilio e dei campi profughi. E alla domanda sul perché delle due scelte, due destini, così diversi tra due popoli entrambi di frontiera, la risposta è che ciò possa essere dipeso solo da due fattori: o sull’indole delle rispettive genti, più docile quella degli istriani, o sulle diverse reazioni alle uguali rivendicazioni da parte degli Stati che si avevano di fronte: l’Italia democratica, e perciò più vulnerabile, i sudtirolesi che ne hanno approfittato; la Jugoslavia comunista, e perciò più feroce, gli istriani.  Certo è che i sudtirolesi le foibe, e non solo quelle, non le hanno conosciute.

     


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