E’ legittimo il licenziamento di chi offende il datore di lavoro sui social
Entro quali limiti un dipendente può esprimersi criticando, fino agli insulti, l’azienda per la quale lavora? Può un semplice “sfogo” contro il proprio datore di lavoro comportare gravi conseguenze disciplinari?Si discute da tempo, ormai, nei Tribunali e non solo sulla gravità degli insulti pubblicati sui social, canali potenzialmente illimitati, grazie ai quali la diffamazione si amplifica.
L’ordinanza n. 28878 del 12/11/2018 della Cassazione Civile, Sezione Lavoro, conferma l’orientamento giurisprudenziale ormai prevalente secondo il quale la condotta extralavorativa di un dipendente, qualora abbia portata pubblica, insita nelle potenzialità indeterminate dei social networks, può avere rilevanza disciplinare fino alle estreme conseguenze del licenziamento per giusta causa.
La sentenza in oggetto, infatti, conferma quanto già deciso dapprima dal Tribunale di Alessandria e poi dalla Corte di Appello di Torino, che avevano rigettato la domanda di un dipendente atta al riconoscimento dell’illeggittimità del licenziamento disciplinare intimatogli, a seguito della pubblicazione su Facebook di immagini e contenuti di natura offensiva nei confronti della società da cui dipendeva e dei suoi dirigenti.
Invocare un divieto di interferenza nella vita privata, ex art. 8 L. 300/70, peraltro, è risultato vano, stante la potenzialità diffusiva di quanto postato che interessa non per accertare le opinioni del lavoratore bensì atteggiamenti rilevanti per la verifica delle sue attitudini professionali.
In sostanza, la gravità dell’offesa è amplificata dalla dimensione pubblica della stessa, in considerazione delle potenzialità di diffusione, immediate e indiscriminate, dei post sui social network.
Come già con la precedente sentenza n. 10280 del 27 aprile 2018, la cassazione afferma e conferma che “…la diffusione di un contenuto diffamatorio tramite una bacheca Facebook integra un’ipotesi di diffamazione, per la potenziale capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone…”.
Il rilievo disciplinare del comportamento extralavorativo suddetto, trova conferma nel dovere di fedeltà, ex art. 2105 c.c. nonché con i canoni di lealtà, buona fede e correttezza, ex art. 1175 e 1375 c.c..
Ne consegue, quindi, per il dipendente sia il dovere di astensione dai comportamenti espressamente vietati dalla legge sia da quanto in contrasto con i doveri di inserimento del lavoratore stesso nella struttura organizzativa dell’impresa, in quanto lesivi del presupposto fiduciario del rapporto di lavoro, quando non addirittura in conflitto rispetto alle finalità e agli interessi della società datrice.
In conclusione, poiché sempre più i social network fanno parte della nostra vita quotidiana, prima di rovesciare un torrente di insulti e di critiche pesanti contro l’azienda per cui si lavora, è opportuno che un dipendente valuti bene se e cosa scrivere, sapendo che si assume la responsabilità delle possibili, anche gravi, conseguenze del proprio “sfogo” mediatico.