Lo “strano caso” di Hub management: la truffa immobiliare da 13 milioni di euro di cui nessuno parla (PARTE II)

    La vicenda Hub Management, che vede coinvolte centinaia di investitori in tutta Italia, ha aspetti e contorni che hanno dell’incredibile: un’operazione truffaldina per milioni di euro, che ha portato sul lastrico numerosissime persone, ma che, allo stesso tempo,  è praticamente passata quasi inosservata alla ribalta nazionale, nonostante i numeri impressionanti.

    Questi in pratica i fatti: la società Hub srl negli anni ha raccolto milioni di euro fra risparmiatori per investire nel ‘mattone’ promettendo guadagni facili ed elevati in realtà mai ottenuti.

    Soldi mai restituiti fino a trovarsi, come accertato in sede fallimentare, con un passivo superiore ai 13 milioni di euro e un attivo di poche migliaia di euro che invece avrebbe dovuto contare sugli immobili in possesso della società.

    Con uno degli investitori coinvolti abbiamo provato a fare luce sull’intricata vicenda.

     

    Ecco la seconda parte dell’intervista

    Come siete venuti a conoscenza di HUB?

    Abbiamo conosciuto “HUB Real Estate & Asset Management” attraverso diversi canali.

    HUB era presente con un proprio sito web abbastanza aggiornato e questo aveva anche i riferimenti Facebook e Telegram dove venivano pubblicizzate le attività.

    L’attività di HUB è stata anche promossa sulla rivista Millionaire e su altre testate specializzate in ambito finanziario ed economico.

    Se alcuni di noi hanno conosciuto le attività quasi per caso cercando sul web per “investire in operazioni immobiliari Milano”, la maggior parte ha partecipato perché consigliata da alcuni Advisor che già conoscevano in precedenza

    Com’è nata la società HUB?

    Questo è quello che risulta da un articolo di BeBeez del 2019:

    “I soci di allora di HUB 5, Bruno Bagnulo, Antonio Clemente e Antonio Palmieri, hanno quindi ceduto la società a un gruppo di investitori operanti nella cessione e valorizzazione di NPL immobiliari, organizzati dallo studio legale Rizzotto. La cessione, però, aveva riguardato soltanto la società, ma non il marchio HUB 5 né il sistema informatico. Così i nuovi investitori hanno rinominato la società HUB srl – Real Estate & Asset Management.”

    Sempre secondo quanto riportato nell’articolo, la HUB 5 era una “società specializzata nella cessione del quinto dello stipendio” e la sua cessione allo studio legale Rizzotto sarebbe avvenuta nel 2017.

    Quando è iniziata l’operatività di HUB?

    Secondo quanto riportato sulla rivista societaria “HUB MAGAZINE” del gennaio 2019, le operazioni di investimento immobiliari sono iniziate proprio nel 2017. Da quello che emerge dalla rivista societaria, sono 15 le operazioni realizzate dal  2017 HUB.

    Tuttavia, la stragrande maggioranza dei truffati ha investito a partire dalla seconda metà del 2018.

    La società ha avuto una sede fisica?

    Sì. Dapprima gli uffici sono stati in via Durini 5 Milano. 

    Poi, a partire dal 2019, gli uffici sono stati ubicati in Corso Europa 11, sempre a Milano.

    Per quanto tempo è andata avanti l’operatività di HUB?

    La struttura di HUB è rimasta in piedi fin quando ha potuto, ovvero fino al momento in cui gli investitori non hanno cominciato ad intraprendere azioni legali. Nell’aprile 2021 la società HUB ha cercato di anticipare le richieste di fallimento proponendo al Tribunale di Milano il concordato in bianco. Tale richiesta è stata depositata il 28.04.2021. 

    Il Tribunale ha poi rigettato la proposta di concordato nel settembre 2021, dichiarando “HUB srl in Liquidazione” fallita. 

    Di che tipo di operazioni stiamo parlando?

    Si trattava di operazioni immobiliari che riguardavano ristrutturazioni di immobili aggiudicati in asta, a saldo e stralcio e sul mercato libero oltre che ai crediti NPL. 

    Sono state promosse inoltre alcune operazioni di finanziamento verso altre realtà promotrici esterne al gruppo (definite da HUB come operazioni di Bridge).


    “Clausola floor”sui mutui a tasso variabile: ecco chi ha diritto al rimborso e come richiederlo

    Illegittimità della“clausola floor”: chi può chiedere il rimborso per gli interessi delle rate di mutuo tra il 2015 ed il 2022?

    La recente sentenza della Corte di Appello di Milano 2836/2022 ha giudicato vessatoria la speciale clausola contrattuale detta “floor” che impediva agli interessi di scendere sotto una certa soglia e, di conseguenza, di poter avvantaggiare il cliente in caso di tassi di mercato negativi, finendo, in questo caso, ad essere di esclusivo beneficio per l’istituto bancario.

    Siccome tra il 2015 ed 2022 l’indice Euribor ha portato i tassi d’interesse a una quota inferiore allo zero, stabilendo quindi un tasso negativo del costo del danaro a carico della banca, la logica conseguenza avrebbe dovuto essere un ricalcolo degli interessi più favorevole per i clienti, sui mutui a tasso variabile o finanziamenti, con sensibile diminuzione delle rate di mutuo da pagarsi.

    Le banche, grazie alla floor, si erano premunite rispetto a tali evenienze, inserendo nei contratti di mutuo a tasso variabile la suddetta clausola di sbarramento al ribasso in caso di discesa degli interessi oltre una certa soglia, a tutto discapito del consumatore mutuatario.

    Sulla legittimità di tale postilla, la Corte meneghina come detto, facendo riferimento ai principi dell’articolo 33 del Codice del Consumo, ha rilevato come l’assenza di una trattativa con il consumatore, determina la natura vessatoria di una clausola siffatta.

    La sentenza ha pertanto statuito che se anche tale clausola fosse correttamente indicata nel contratto, deve comunque considerarsi vessatoria e quindi posta nel nulla, senza con ciò invalidare l’intero contratto.

    Andrà quindi ricalcolata la rata pagata nel suddetto periodo e rideterminati gli interessi realmente dovuti senza il limite stabilito dalla Floor, con conseguente restituzione delle somme percepite in più dall’Istituto.

    Questo principio è ribadito anche in riferimento al controllo della legittimità degli atti istituiti dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, sulla cui base “impone il diritto alla restituzione delle somme pagate in attuazione delle regole poste in essere dalle clausole vessatorie nulle”.

    Chi ha pertanto sottoscritto tali condizioni deve essere rimborsato, dato che ha pagato rate più alte di quelle effettive legate alle oscillazioni del mercato.

    Per ottenere il rimborso degli interessi pagati bisogna, innanzitutto, interrompere il decorso della prescrizione inviando reclamo alla banca e chiedendo, contestualmente, il rimborso delle maggiori somme esborsate.

    Successivamente, si procederà con la citazione in giudizio della banca.

    Il primo step da fare, in questo caso, è verificare le condizioni contrattuali e, ovviamente, in caso di riscontro positivo, farsi assistere nel percorso del previsto rimborso da professionisti esperti nel settore.


    “Clausola floor”: se hai sottoscritto mutui tra il 2015-2022 hai pagato più del dovuto ed hai diritto al rimborso

    Si chiama “clausola floor” e potrebbe rappresentare un elemento determinante per il rimborso degli interessi per mutui a tasso variabile nel periodo 2015-2022. In pratica, nei contratti in cui era prevista, la  speciale clausola detta “floor”, impediva agli interessi di scendere sotto una certa soglia e, di conseguenza, di poter avvantaggiare il cliente in caso di tassi di mercato negativi, proprio come successo nel periodo tra il 2015 -2022.

    La Corte di Appello di Milano, recentemente, l’ha giudicato vessatoria perché quando i tassi scendono o, addirittura, diventano negativi, il floor finisce per essere vantaggioso esclusivamente per la banca.

    Anche la Banca d’Italia si è già espressa sull’argomento, richiamando gli operatori per aver applicato tale clausola ai propri clienti, senza che però questo venisse comunicato nei contratti. Chi ha pertanto sottoscritto tali condizioni deve essere rimborsato, dato che ha pagato rate più alte di quelle effettive legate alle oscillazioni del mercato.

    Si tratta di un risarcimento dovuto a prescindere o meno dal fatto che il cliente ne fosse a conoscenza, visto che comunque non ha potuto “beneficiare dell’Euribor negativo”.

    Per ottenere il rimborso degli interessi pagati bisogna, innanzitutto, bloccare la prescrizione inviando reclamo alla banca e chiedendo, contestualmente, il rimborso delle maggiori somme esborsate.

    Successivamente, si procederà con la costituzione in giudizio della banca.

    Numerosi sono gli istituti coinvolti: oltre a Banco Bpm e Deutsche Bank, sui quali si è già pronunciata a Corte di Appello di Milano,  mutui variabili con floor sono stati individuati in:

    1. Banca Mediolanum;
    2. Banca Popolare di Bari;
    1. Banca Popolare di Puglia e Basilicata;
    2. Banca Popolare Pugliese;
    3. Banca Popolare di Sondrio;
    4. Banca Sella, Webank;
    5. Banco di Sardegna;
    6. Bancoposta;
    7. Credem; Fineco;
    8. HelloBank;
    9. BPER;
    10. Cassa Padana;
    11. Credit Agricole;
    12. Extrabanca;
    13. Ing, Intesa San Paolo;
    14. Monte dei Paschi di Siena;
    15. Sparkasse;
    16. Unicredit;
    17. Volksbank;
    18. Widiba.

    In sostanza, chiunque abbia richiesto mutui o prestiti alle banche elencate potrebbe aver diritto al rimborso, anche nei casi in cui il mutuo sia stato già estinto,

    Il primo step da fare, in questo caso, è verificare le condizioni contrattuali e, ovviamente, in caso di riscontro positivo, farsi assistere nel percorso del previsto rimborso da professionisti esperti nel settore.


    Nella bufera della Banca Popolare di Bari coinvolta anche la Cassa di Risparmio di Orvieto, condannata dal Tribunale di Terni.

    Il Tribunale di Terni ha condannato la Cassa di risparmio di Orvieto a risarcire un risparmiatore che aveva sottoscritto un contratto per l’acquisto di azioni dell’ex Banca popolare di Bari per un totale di 7.223 titoli.

    Questo il commento dell’Unione nazionale consumatori dell’Umbria a seguito della sentenza: “Il giudice evidenza il carattere illiquido delle azioni in questione e gli obblighi informativi a carico dell’intermediario.”

    In pratica, secondo il parere del giudice Luca Ponzillo, per quegli strumenti finanziari sussistevano difficoltà di smobilizzo a condizioni significative, e quindi per l’investitore ci sarebbero stati ostacoli o limitazioni allo smobilizzo entro un lasso di tempo ragionevole, a condizioni di prezzo significative.

    Insomma, acquistati ad un valore di circa 9 euro ad azione, quei titoli non avrebbero garantito un affare per il sottoscrittore dell’accordo.

    Ora l’auspicio è che, sulla scorta del tribunale di terni ci siano altri pronunciamenti simili, affinchè, come ha dichiarato l’Unione nazionale consumatori: “D’ora in poi tutti i risparmiatori coinvolti possano ricevere giustizia”.


    La Procura della Repubblica di Bari chiude le indagini sulla Banca Popolare di Bari, coinvolti i vertici e dipendenti dell’Istituto per truffa.

    Abbiamo già affrontato in passato la vicenda che ha visto artefice di presunti illeciti la Banca Popolare di Bari. Questi gli sviluppi.

    Sono 176 gli investitori della BPB “particolarmente vulnerabili”, dice la Procura,“indotti, mediante artifizi e raggiri, nonché approfittando della particolare situazione di vulnerabilità, all’acquisto di prodotti finanziari illiquidi e ad elevata rischiosità emessi dal predetto istituto bancario”.

    Le loro denunce hanno portato alla luce una presunta truffa da 8 milioni di euro, commessa nel periodo 2014-2015.

    Al centro della vicenda, investimenti basati sulla scorta di informazioni poco chiare e questionari predisposti ad arte con i quali si delineavano i profili di clienti in grado di sopportare un rischio medio-alto.

    In sintesi “gli indagati non avrebbero fornito agli investitori notizie appropriate per effettuare consapevolmente le proprie scelte di investimento”.

    Inoltre, sarebbe stata omessa la raccolta di tutte le informazioni necessarie ai fini della valutazione dell’adeguatezza dello strumento finanziario da collocare in relazione all’esperienza, alla conoscenza e agli obiettivi di investimento della clientela; la consegna ai clienti dei documenti previsti per legge e l’adeguata informazione sulla natura illiquida e particolarmente rischiosa del titolo, non negoziato su mercati regolamentati e caratterizzato da un’alea, che doveva essere specificatamente rappresentata.

    Un raggiro che è stato in grado di creare perdite vertiginose e che vede coinvolte 88 persone, tra organi di vertice e responsabili di filiale destinatari di altrettanti avvisi di conclusione delle indagini preliminari con l’accusa di truffa.

    Si tratta dei vertici della vecchia gestione della BpB e dei responsabili delle filiali dell’istituto di credito. Tra questi Marco Jacobini, presidente del Cda, suo figlio Gianluca, dg assieme a Vincenzo De BustisFigarola, l’Ad Giorgio Papa e il funzionario Gianluca Bonerba. I primi tre sono definiti negli atti “determinatori del disegno criminoso” messo in atto con direttive e delibere che risalgono anche a 10 anni fa.

    L’indagine attuale fa seguito a quella già avviata nel 2019, quando la Procura di Bari iscrisse nel registro degli indagati per concorso in bancarotta due ex manager della Banca Popolare di Bari coinvolti nell’inchiesta sul crac delle società del gruppo Fusillo di Noci (Bari).

    Secondo l’ipotesi dei pm, la banca avrebbe contribuito al dissesto delle società continuando a erogare credito quando le imprese erano già in crisi, aumentandone così i debiti.

    All’epoca, le indagini della Guardia di Finanza consentirono “di far emergere il ruolo della Banca Popolare di Bari quale principale creditore delle imprese sottoposte a procedura concorsuale, risultate esposte con l’istituto di credito per una cifra di poco inferiore ai 140 milioni di euro, a seguito delle ingenti linee di credito elargite negli anni”.

    La banca, in sostanza, nonostante fosse creditrice di oltre 100 milioni di euro dalle società del gruppo Fusillo, all’epoca in procedura di concordato preventivo, nel marzo 2019 avrebbe erogato in loro favore nuova finanza per circa 40 milioni di euro.

    Un “intervento estremamente oneroso - annotava la Gdf - che si aggiunge ai numerosi già effettuati in passato, sulla cui sostenibilità finanziaria appare necessario investigare”.


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